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Presentazione del libro "il vaghissimo sito Villa Belvedere di Acireale" (giugno 2011)
Signori e gentili signore, l'occasione che ci vede oggi riuniti è la presentazione dell'ultima fatica del prof. Salvatore Licciardello dal titolo Il vaghissimo sito. Villa Belvedere di Acireale.
Il caro amico Salvatore non è nuovo a scrivere interessanti opere sulla storia della nostra città, basti ricordare: La Chiesa del Salvatore in Aci nei Secoli XVI e XVII (1997), Santa Maria degli Ammalati (2000) e il volume I tesori della Terra di Aci (2002) dove abbiamo condiviso la cura della parte storica.
Con il libro che oggi andiamo a presentare, l'autore aggiunge un altro importante tassello alle sue ricerche, in particolare per la storia della parte Nord della nostra città, ambito territoriale in cui egli, con le ricerche pubblicate nelle opere prima menzionate, ha acquisito una competenza vasta e articolata.
Il valore di un'opera, anche di quelle d'argomento storico, si misura, tra l'altro, con la capacità che essa ha di suscitare interesse, emozioni, sensazioni, di coinvolgere il lettore stimolandolo a trovare all'interno della sua trama, percorsi di approfondimento personali collegati al proprio sapere, alle proprie esperienze di studio, di vissuto, di ricordi.
Per la presentazione del libro utilizzerò quindi un percorso che si dispiega attraverso la miriade di argomenti, di dati, di notizie che il libro offre a profusione. Aggiungerò diverse notizie provenienti dai miei studi, che, pur non essendo strettamente inerenti l'argomento, sono funzionali al percorso cui prima accennavo, e che confermano, ove ce ne fosse bisogno, le intuizioni, le direzioni di ricerca, le interpretazioni dell'autore.
Il poco tempo a disposizione pone una sofferta limitazione di temi e argomenti, poiché la tentazione di accennare al molto altro che il libro offre è costretta solo dalla tirannide dell'orologio e dalla volontà di non privarvi della possibilità di scoprirlo da soli, leggendo il libro.
L'ubicazione della villa comunale nel luogo che in seguito ne avrebbe determinata la felice denominazione di Belvedere, attribuita peraltro non solo alla stessa villa ma anche alla strada che a essa conduce -l'attuale Corso Umberto-, è dovuta alla caparbia tenacia della famiglia Nicolosi.
I Nicolosi provengono da Aci Castello, dove Giovan Battista aveva ricoperto nel Seicento ruoli di primaria importanza nel governo della città. Dopo la carica di Capitano era stato nominato Castellano e aveva saputo acquisire, oltre a numerose proprietà all'interno e all'esterno delle mura, prestigio e potere.
Morto nel 1675 Giovan Battista è il figlio Giuseppe a trasferirsi, nel 1680 in seguito al matrimonio con Anna Leonardi, ad Acireale dove qualche tempo dopo lo seguì anche il fratello Pietro Paolo.
Alle spalle della chiesa di San Vito collocata, prima della sua demolizione all'imbocco dell'attuale Corso Umberto, i fratelli Nicolosi costruirono le loro dimore, in seguito trasformate nell'attuale palazzo.
La casa di Giuseppe viene ricordata come una delle più belle e comode della città. Costruita in pochi anni tra il 1699 e il 1701, ospitò nel 1702 il viceré, il cardinale Francesco Giudice e per ben quattro mesi, tra il 1703 e il 1704, il vescovo della diocesi di Catania, cui Acireale allora apparteneva: Mons. Andrea Riggio.
Una dimora tanto vasta da accogliere al suo interno anche un oratorio "sotto titolo del SS. Crocifisso, ornato di tutti i giugali, fiori, e tutti altri cose necessarij per giornalmente celebrarsi in esso" dove Giuseppe, ammalato di gotta, poteva comodamente assistere alle funzioni religiose.
Verso il 1703 gli capitò di acquistare una "vigna et giardino con sua torre, magazzeno e cisterna" dove si trovavano anche i miseri resti della chiesa della Madonna dell'Indirizzo, edificata agli inizi del Seicento e poi atterrata dal terremoto del 1693.
La religiosità di Giuseppe, -probabilmente accentuata dalle vicissitudini familiari, non aveva avuto figli dalla prima moglie morta in seguito al terremoto del 1693, e neanche il secondo matrimonio con Anna Carpinato, esponente di una famiglia di giuristi molto influente, aveva generato prole- lo spinse a spendere una consistente somma per riedificare la chiesa.
I lavori di costruzione della chiesa furono completati nel 1708, ma già nel 1705 Giuseppe Nicolosi ne aveva ottenuto dal Vescovo Riggio il patronato (come dire il dominio diretto nella gestione della chiesa e nella nomina dei sacerdoti). La chiesa era posta ai margini di una strada che provenendo dalla contrada Cervo si dirigeva verso la chiesa di San Rocco, allora estrema periferia Nord dell'abitato di Acireale, un centinaio di metri prima dell'abitazione del Nicolosi. La strada era tortuosa e non troppo comoda ma assolveva degnamente il compito di stradella di campagna che sino allora rivestiva.
Giuseppe Nicolosi era un tipo che pensava in grande!
Aveva immaginato una strada dritta che anche visivamente, con un colpo d'occhio, collegasse la sua abitazione posta alle spalle di San Vito con le case e la chiesa da lui riedificate all'Indirizzo. Non solo... aveva anche compreso che proprio sulla direttrice San Rocco-Indirizzo poteva attuarsi quell'espansione urbana tanto necessaria e richiesta sopratutto da quanti avevano tratto consistenti vantaggi economici dalla ricostruzione post terremoto: come i mastri muratori, i mastri scalpellini, e tutti coloro, mastri (imprenditori) ed artigiani, che avevano contribuito a riedificare non solo Acireale.
Superate le prime diffidenze era riuscito a inserirsi tra le famiglie dell'elite acese. Acquisita la cittadinanza per il matrimonio con la Leonardi, ricoprì per diverse volte, le cariche di Giurato, di Patrizio, di Capitan Giustiziere che indubbiamente gli furono d'aiuto nella sua veloce ascesa economica e politica. Possedeva quindi tutti i requisiti per rendere concreta la sua aspirazione di valorizzare il sito dell'Indirizzo.
Sborsando di tasca propria le somme necessarie, fece acquistare ai giurati una striscia di terreno che attraversava in modo rettilineo la tenuta del Fabio (così chiamata per via di uno dei primi proprietari: Fabio de Paternione). Su questo terreno contava di far costruire la nuova strada, in cambio richiese e ottenne dai giurati i terreni del vecchio tracciato della stradella che, in buona parte, si affrettò a vendere a piccoli lotti e tenue canone obbligando però gli acquirenti a una rapida (entro quattro anni) edificazione dei lotti.
Non contento, chiese anche la concessione, (niente affatto facile da ottenere) di una fiera del bestiame franca d'imposte, da tenere durante la festa della Madonna dell'Indirizzo.
Giuseppe Nicolosi ... non riuscì a vedere realizzati i suoi progetti! non vide le case edificate! non vide la "sua" strada! non vide la sua fiera!
Morì nel 1710 lasciando erede universale dei suoi averi e dei suoi progetti il fratello Pietro Paolo che riuscì a continuare quando da lui iniziato per poi alla sua morte, avvenuta nel 1717, consegnare al figlio Carmelo (Carmine) un consistente patrimonio insieme a una posizione sociale e politica di tutto riguardo.
Con Carmelo Nicolosi la famiglia nel 1726 acquisì il titolo nobiliare di barone di Villagrande.
Generazione dopo generazione, le cure della famiglia per il sito dell'Indirizzo non mancarono mai. Non è per caso che i Nicolosi richiesero nel 1732 nuove esenzioni per la fiera; o che nel 1804 consentirono l'allargamento del piano innanzi la chiesa con il taglio di una propria chiusa; o che nel 1805 alla strada dell'Indirizzo già considerata "dritta, e di vaghissimo sito in cui sempre vanno i Cittadini tutti à divertirsi, e passeggiare" se ne aggiunse, per iniziativa del Patrizio di Acireale don Sebastiano Nicolosi, una altra altrettanto dritta che congiunse il piano della chiesa del Salvatore con il piano della chiesa dell'Indirizzo: il viale Principe Amedeo.
Qualche anno dopo, verso il 1812 la chiesa dei Nicolosi venne ristrutturata col bel frontespizio dell'ingegnere Ittar, lo stesso che progettò e seguì la realizzazione del bellissimo ingresso monumentale del parco e di tutta villa Nicolosi.
E non è certo per caso che nel 1846 i decurioni, vista la dichiarazione fatta da don Nicolosi con cui permette elargarsi gratuitamente nel suo terreno il Piano dell'Indrizzo, in l'entrata della di lui casina, e ciò per maggior decoro del Piano, e vantaggio dei di lui concittadini, visto un piano d'arte mercé il quale si presenta la pianta topografica del luogo qual diverrà elargandolo, nella quale si osserva in fondo del Piano una orchestrina a fabbrica, per ivi eseguirsi qualche volta la settimana dei concerti musicali nelle serate estive, mancando affatto di tali pubblici passatempi questa culta popolazione... effettuarono dei lavori sul piano anzidetto dotandolo di illuminazione e di sedili di pietra e progettarono la costruzione di un elegante chiosco per l'orchestra.
I luoghi divennero così "un vaghissimo sito" e costituirono uno dei poli di espansione e di maggiore frequentazione della città.
...
I venti della rivolta spiravano forti nel 1848 quando nel clima dell'entusiasmo della Rivoluzione liberale, il Sindaco, barone Paolo Nicolosi (tanto per cambiare!) acquistò per conto del Comune un pezzo di terreno in contrada Indirizzo onde costruirsi una strada e una floretta. Terreno che il Comitato Rivoluzionario aveva giudicato conveniente acquisire per tutto il dippiù che in avvenire potrebbesi eseguire onde aversi una Flora, dal popolo tanto desiderata.
Il terreno per la floretta del popolo resistette alla caduta del Comitato Rivoluzionario e al ritorno dei Borbone. Resistette anche quando i nobili baroni rivoluzionari che prima si erano fatti portavoci del popolo, da buoni gattopardi, ammainarono velocemente le insegne rivoluzionarie per issare di nuovo il tanto vituperato vessillo borbonico e dimenticare le tante esigenze del popolo. Nessuno comunque mise in dubbio l'acquisto del terreno. Anche i rientrati Borbone si limitarono a spurgare il contratto d'acquisto dei "termini rivoluzionari" ma si guardarono bene di metterne in dubbio la validità.
Nelle intenzioni di formare una floretta, sia essa del popolo o no, in effetti, vi era un poco di demagogia, giacché oltre a scarseggiare le risorse economiche non si disponeva di un elemento indispensabile a qualsiasi impianto botanico che prevedesse, come era costume dell'epoca, la messa a dimora di essenze esotiche non certo con le stesse esigenze delle piante autoctone. Quello che mancava ad Acireale era l'acqua corrente indispensabile per qualsiasi villa, flora o floretta che sia.
La prima metà dell'Ottocento non fu un periodo felice per Acireale. La Restaurazione aveva portato, nel 1816, la creazione del Regno delle Due Sicilie con l'estensione all'Isola del sistema amministrativo introdotto dai francesi nel Napoletano.
Si aboliva in questo modo la costituzione inglese del 1812 e tra l'altro si omologava alla parte continentale del Regno la struttura amministrativa e politica delle città siciliane. Si veniva così a ridisegnare la complessa geografia delle preminenze territoriali scompaginando assetti che si erano mantenuti e consolidati lungo secoli.
Acireale, in particolare, si vide privata dei privilegi, dei monopoli, delle prerogative politiche e amministrative e da capo comarca, ruolo che le consentiva un concreto primato su un vasto territorio dove determinanti si mostravano le sue influenze e forti i vantaggi in termini economici, fu ricondotta ad un ruolo paritario che permetteva alle città ad essa prima legate di riconsiderare, spesso criticamente, la validità di relazioni politiche ed economiche sovente fortemente sbilanciate a loro sfavore.
Peraltro, l'inserimento della città nel circondario di Catania la costringeva a sottostare ai pesanti condizionamenti della vicina eterna rivale che tentava in tutti i modi di riguadagnare prestigio in termini d'influenza e in vantaggi economici nelle città prima sottoposte alla comarca acese.
E oltre al calcolo politico ed economico, cocente per gli acesi si dimostrava lo smacco di dover sempre sottostare alle decisioni delle strutture circondariali e provinciali saldamente monopolizzate dalla rivale città.
Acireale soffriva pure la feroce concorrenza di Riposto diventata, anche con lo sviluppo della cantieristica, il porto commerciale di riferimento dei vini etnei.
Era ormai stretta in una ferrea tenaglia, tanto che a Lionardo Vigo, non restò che osservare "Riposto a manca, la più commerciale e doviziosa terra di Sicilia, compra e vende i generi dagli acitani; Catania a dritta con tribunali, avvocati ec., pregata e pagata li smunge, e come Sebastiano Leonardi dicea lepidamente ad Aci, di quei due limitrofi popoli parlando:
Di ccà Aci pigghia dinari e ddà cunsigghiu
E ti portanu a pilu di cunigghiu."
Di qua (da Riposto) piglia (Acireale) denari e di là (da Catania) consigli (assistenza legale per il tribunale cui Acireale era costretta a ricorrere dopo l'abolizione delle giurisdizioni locali) e ambedue città ti tosano a pelo di coniglio.
La floretta non era certo il maggiore cruccio della città. Il porto, le strade, l'economia in generale la vedevano soccombente e smarrita.
Dovette passare ancora qualche decennio ... lo sbarco dei Mille ... la caduta dei Borbone ... l'unità d'Italia, per mutare le cose.
Un'altra famiglia, un altro personaggio di rilievo entra in scena per orientare e non solo geograficamente lo sviluppo della città.
I Pennisi divenuti già nel Settecento baroni di Floristella acquistano verso il 1860 un esteso podere già di proprietà di una antica famiglia Catanese: gli Scammacca, posto al margine Sud della città.
Agostino -indubbiamente uno degli uomini più rilevanti che la nostra città ha saputo generare- s'inventa in quei luoghi un mondo fantastico dove, tra piante e viali alberati, svettava uno stabilimento termale che ricorda i vecchi templi greci; un imponente albergo dotato di tutte le moderne attrezzature con direttori, chef e cuochi di rinomanza internazionale, cui successivamente si aggiunse anche un castello medievale che sembrava materializzarsi dalle nebbie del tempo; una stazione ferroviaria moderna ed efficiente ... e poi, piazze larghe e spaziose ornate da alberi, viali per il passeggio, vasche di marmo pregiato dove immergersi in fanghi ristoratori. Tutto incorniciato dall'azzurro cobalto di un mare splendente dove scogli e faraglioni facevano rivivere la fantastica atmosfera delle leggende di Aci e Galatea... di Polifemo ... dei Ciclopi.
Un uso del verde moderno e innovativo se non avveniristico che faceva da cornice a un mondo fantastico pieno di reminiscenze storiche e leggendarie che tanto attirava quanti: Inglesi, Francesi, Tedeschi, percorrevano la rotta del Gran Tour verso la Sicilia.
Nel 1873 l'inaugurazione ufficiale delle Terme e il fulmineo successo con l'afflusso di turisti provenienti da tutta Europa! Acireale, con l'inaugurazione delle Terme, diventa -è il parere di un grande "amatore" della Città: il compianto prof. Cristoforo Cosentini- "un centro di interesse internazionale, iscrivendone il nome nel gran libro del mondo."
Il lungimirante tentativo del barone Agostino Pennisi di Floristella, che cercò di accreditare Acireale come qualificata metà turistica, ben prima di quanto Inglesi e Tedeschi avrebbero in seguito fatto con Taormina, venne purtroppo interrotto dalla morte, mentre nel giro di qualche decennio quanto da lui creato si disperse nei numerosi rivoli di divisioni ereditarie poco proficue.
Comunque, è proprio la famiglia Pennisi a contribuire alla riscossa di Acireale. Oltre alle Terme, anche con i collegi: il Pennisi, il San Michele, il San Luigi, il Buon Pastore, allo stesso Seminario della Diocesi e poi il Santonoceto, lo Spirito Santo, l'Arcangelo Raffaele ecc. voluti, finanziati o incoraggiati direttamente o indirettamente dai Pennisi e da altre famiglie notabili ad essi collegati.
Acireale, in tal modo, costruisce il suo nuovo profilo di città di studi, di sede della nuova diocesi. Una città che attira studenti e seminaristi da tutta la Sicilia, da Malta, persino dall'Italia continentale!
Un profilo che le permette di ridisegnare un ambito territoriale nel quale assumere di nuovo e non solo dal punto di vista ecclesiastico ma anche sotto l'aspetto politico ed economico, un ruolo di guida e di indirizzo.
Mosso anche dalle iniziative di Agostino Pennisi e dal magnifico parco delle Terme, reso rigoglioso dall'acqua proveniente da Santa Venera al Pozzo e dalle intense cure degli amministratori, un appassionato dibattito sulla villa comunale animò la città: si discusse sulla conformazione geografica, architettonica, sui valori culturali, sociali, di costume che la villa Belvedere poteva avere per la città e pian piano crebbero le attività, i lavori, l'effettiva realizzazione.
Si comprarono altri pezzi di terreno, si progettò l'impianto dei viali si incaricarono esperti giardinieri ... sino a che il 12 luglio del 1878 la giunta comunale annunciò: La Villa Belvedere è ormai fornita di acqua fluente condotta a quel punto superando serie difficoltà; l'inferriata, l'ingresso degno del luogo e con esso i viali alberati di piante diverse, un sufficiente numero di sedili di ferro e in legno, con 50 candelabri, due fonti, le spalliere e le ceste a fiori, rendono quel sito eccezionale al simpatico nome che porta e annunciò l'inaugurazione ufficiale per il 23 luglio 1878.
La villa Belvedere anche grazie all'opera del Sindaco Giuseppe Grassi Russo, divenne una realtà: fu da tutti, voluta, apprezzata, frequentata; entrò pian piano generazione dopo generazione nelle abitudini degli acesi, divenne il salotto buono della città, il luogo della memoria, della musica, il luogo panoramico per eccellenza, -appunto il belvedere-, i luoghi della giovinezza e della vecchiaia, la stanza dello scirocco, il giardino botanico che permise la conoscenza delle piante di mondi lontani e sconosciuti.
Un luogo d'incontro, di mostra, di svago, di musica, di divertimento, di memoria.
Il luogo più tranquillo di un "posto tranquillo".
Un luogo, una storia, uno spaccato di Acireale descritti nel libro con uno stile narrativo semplice ed elegante in quasi cento pagine che si leggono d'un fiato, ricche di dati, notizie, considerazioni che ci conducono per mano, lungo trecento anni di storia.
Il libro ha tutti i crismi dell'esemplare: una ricerca documentale accurata, una scansione temporale dei fatti e degli eventi, una loro interpretazione fuori dell'ovvio, del banale della consuetudine, dei miti e del ripetuto, con riferimenti puntuali e citazioni rigorose, il tutto corredato da belle foto della gentile signora Cettina moglie del Nostro, da vecchie cartoline, dove il particolare desta curiosità e ci consente di penetrare attraverso uno squarcio nel tempo, nel mondo della Bella Epoque tra caffè-concerto e teatro Eden, tra scenografie moresche e influssi francesi.
Salvatore, come tutti quelli che per diletto ma non da dilettanti si occupano di storia ha anche la propensione o la velleità -fate voi- a considerare la storia, maestra di vita.
La conoscenza dei cicli storici, delle alterne fortune, degli splendori e delle miserie ci ha vaccinato, permettendoci di interpretare il contingente come una fase di un ciclo più lungo e articolato.
Ma anche se vaccinati, chi di noi si recasse oggi alla villa Belvedere non potrebbe non provare una stretta al cuore ed essere pervaso da un senso d'incombente angoscia alla vista di viali sconnessi, di alberi miseri, di statue profanate, di fontane secche come le mille foglie che spinte dai venticelli primaverili vorticosamente ingombrano aiuole e viali.
E mentre ci si sperde tra i viali, struggenti riappaiono in molti di noi i ricordi di giochi, di amori giovanili, allietati dalle note di un'orchestra che delicatamente sfumavano tra le querce dal tempo rese possenti e frondose, mentre dolcemente scorrevano tranquille e profumate lontane serate estive.
... solo qualche risata di gioia di piccoli utenti della bambinopoli è di speranza.
Forse loro, per alcuni figli per altri, ahimè, nipoti, sapranno fare meglio di noi. Siamo sicuri riusciranno, come hanno fatto, i Nicolosi, i Pennisi, il sindaco Grassi Russo, ma anche tutti quelli che non meno importanti perché anonimi borghesi o popolani, hanno saputo sognare e sopratutto lottare per realizzare i loro sogni.
Vorranno una villa Belvedere nuova e diversa: più salvaguardata, ma non solo dall'amministrazione pubblica. Forse sogneranno anche di vederla riqualificata e collegata con corridoi verdi ciclabili, alla Timpa, alle altre poche aree verdi, a quanto resta del parco delle Terme, a tratti del bosco di Aci, in una visione moderna di parchi urbani e suburbani integrati e correlati.
Sogni forse! Ma anche i sogni più ambiziosi e questo libro ben lo documenta, talvolta si avverano.
Saro Bella (Giugno 2011)