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A nisciuta du Santu
All'apertura della cappella del Santo, aveva sentito palpabile lo sguardo di quei mille e mille occhi in spasmodica attesa, poi tutto era esploso! e tra le urla, i battimani, i fazzoletti agitati e i vviva San Mastianu!! la giornata era cominciata.
Dopo il pontificale del vescovo, un sermone breve ma intenso era seguito. I melodiosi canti della corale erano continuati da lassù, a mezza altezza, proprio sopra l'entrata della chiesa, dov'era la cantoria, pervadendo l'intera basilica di un'armonia di breve durata poichè subito le urla di invocazione e di giubilo dei devoti si erano sovrapposte al canto e alla melodia coprendone, quasi violentandone, l'armonica bellezza.
Tutto era andato secondo l'ordine statuito da antiche abitudini. Il massiccio baiardo si era diligentemente fermato davanti alla cappella del Santo. Il mastro di vara non aveva dovuto più di tanto fulminare prima con gli occhi e poi con larvate -ma non tanto- minacce i portatori più esuberanti.
Lo splendido fercolo luccicante di argenti e di fiammelle era scivolato lento e sicuro dalla cappella, dove era rimasto chiuso per un intero anno, sul baiardo dove venne lestamente fissato.
Tutto sembrava scorrere tranquillo nel generale frastuono.
All'ordine del mastro di vara i manigherri posti ai quatto estremi delle due lunghe stanghe del baiardo, avevano destramente guidato gli sforzi degli altri portatori verso la giusta direzione e la vara ordinatamente, chè fercolo e baiardo congiunti si erano fusi in un stesso oggetto, girò e si mosse lentamente verso l'uscita della chiesa. La calca, aiutata da generose gomitate dei devoti posti, accanto alla vara, si apriva come per incanto lasciando libero il passaggio.
Il sole lo accecò e un leggero ma freddo venticello gli sferzò la faccia. La vista dello spettacolo che gli si parava innanzi, gli levò il respiro! Nonostante l'abitudine di tanti anni: quella folla sterminata, quella marea tumultuante di teste, di braccia, di fazzoletti; quei drappi rossi posti sui balconi straboccanti di gente; quei palloncini colorati che a grappoli punteggiavano la piazza; quel profumo di zucchero cotto proveniente dalle bancarelle straboccanti di appetitosi e variopinti bomboloni, di fragranti torroni, di delizie di ogni genere; quel fumo intenso e odoroso di calia abbrustolita misto all'acre odore della polvere da sparo dei botti e delle maschetterie; quella pioggia multicolore di coriandoli e filamenti danzanti che dal campanile, in alto proprio sopra di lui, piovevano lentamente sulla piazza, insieme all�assordante fragore di campane, botti, musiche urla, grida, strepiti che tutto pervadeva e scuoteva, lo impressionava e lo commoveva sempre.
Mentre i devoti, sempre a via di robuste gomitate, cercavano disperatamente di disegnare nella piazza gremita all'inverosimile il percorso per la vara, volse lo sguardo ai suoi lati. Dall'alto poteva intravedere il bel disegno della balaustrata sommersa di gente e i cancelli, formati da spesse barre di ferro rese eleganti da mille ghirigori, piegarsi sotto il peso di arditi ragazzini che furenti devoti strappavano lestamente dall'incomoda e pericolosa posizione.
Un ragazzo dai calzoni corti, quasi un bimbo, piò spericolato degli altri si era abbarbicato a una delle statue poste sulla balaustrata disturbandola nella sua quieta immobilità. Sembrava, da quella posizione privilegiata, intenta a guardare anch'essa l'uscita del Santo.
Diede un'occhiata a un devoto posto sotto di lui indicandogli col dito lo spericolato arrampicatore. Il devoto corse verso il discolo e senza tanti complimenti tento di tirarlo giù, ma questo, nel tentativo di resistere, si avvinghiò ancora più saldamente al braccio proteso della statua.
Tutti e tre: statua, ragazzino e rabbioso devoto formavano lì a mezz'aria, un inestricabile groviglio in precario equilibrio mentre sotto di loro la folla imprudentemente si addensava. Chiuse gli occhi temendo il peggio e quando, dopo alcuni secondi, ebbe il coraggio di riaprirli, si aspettava la tragedia.
Vide con gran sollievo la statua intatta e ai suoi piedi un ragazzino, piangente per una generosa timbulata appioppatagli dal trafelato devoto, perdersi lestamente, come un animaletto ferito, dentro la giungla di gambe della folla. Tirò un sospiro di sollievo!
E tutti in quella piazza, uomini e donne, devoti e preti, piccoli e grandi, si accalcavano e mischiavano. Anche i facoltosi della città, dai loro privilegiati balconi, sembravano protesi a fondersi con il popolo della sottostante piazza.
Di fronte a loro, statue, putti, ghirlande e mascheroni, come quasi un altro popolo stavolta di pietra, mentre trapuntavano la facciata della chiesa di un incredibile meraviglioso merletto, si protendevano anch'essi a formare un'unica folla gaudente. E tutti insieme, uomini e pietre, partecipavano al generale tripudio in gloria del Santo.
Lo scampanellio annunziò il lento muoversi delle vara.
Si abbarbicò a una delle colonne d'argento del fercolo. Un rivolo di sudore freddo gli scivolò lungo la schiena.
Uno dei portatori da sotto la vara lo guardò beffardo nella speranza di leggergli sul viso un cenno di paura. Cercando di assumere un atteggiamento serafico, gli rispose con uno sguardo di fuoco nello stesso tempo che le sue mani si serravano ancora di più sul freddo argento della colonnina.
Viva san Mastiano, Vaddatilu che beddu u rizzareddu! Urlavano a squarciagola i devoti mentre la vara si proiettava sulla scivola per precipitarsi verso la sottostante piazza.
La brusca virata lo prese di sorpresa e per un attimo penso di non riuscire a reggersi. Vide con l'abituale paura compiere lo stretto giro verso destra e le ruote della pesante vara stridere rumorosamente sotto la spinta dei portatori, ora protesi sulle stanghe per ruotare con il loro peso la pesante vara.
Sotto la poderosa spinta, tutto: statua, angeli, colonne, lampade, tremava e sussultava mentre lui, il mastro di vara, il mastro di festa, cercavano disperatamente di trovare un precario equilibrio in quell'insieme argentato che sotto lo sforzo ondeggiava e gemeva in ogni sua più minuta giuntura.
Dopo quella che a lui parve un eternità, la vara tirata, spinta, sballottata ma sempre proiettata in folle corsa, riprese il suo naturale equilibrio nel frattempo che la gente impazzita si accalcava pericolosamente lungo il tragitto incurante delle urla, delle gomitate, delle spintonate che devoti sempre più paonazzi non lesinavano nel tentativo di aprire la strada ed evitare che qualcuno venisse travolto.
Vide con sollievo il comandante dei vigili urbani e il suo drappello, impettiti davanti al palazzo comunale, salutare rendendo gli onori militari al loro santo protettore e la vara finalmente rallentare sino a fermarsi per raccoglierne l'omaggio.
Grida di sollievo si alzarono da sotto la vara e una moltitudine di uomini trafelati con i piedi scalzi, protetti solo da qualche paio di calze, ma già doloranti e contusi, ripresero a vociare fieri di essere riusciti ancora una volta a concludere la pericolosa manovra d'uscita.
Tutti avevano svolto egregiamente il loro compito e quel groviglio di piedi, di spalle, di braccia, aveva eseguito coralmente come un unico grande corpo le concitate ma ferme istruzioni del mastro di vara e dei manigheri, riuscendo ancora una volta a compiere la spettacolare e pericolosa evoluzione nella gremita piazza.
A sentire loro tutto era facile ma lui ogni volta non poteva evitare di chiedere accoratamente e ripetutamente l'aiuto del Padre Eterno.
Le campane della loggetta dall'alto della facciata, duettavano con il campanone della cattedrale e quelle di San Pietro, ultime arrivate, facevano fatica a inserirsi in quel serrato dialogo disturbato solo dai possenti boati dei mascoli che non smettevano un attimo di vomitare fuochi d'artificio.
La folla si accalcava intorno alla vara e i bianchi ceri votivi incartocciati in una pesante carta il cui blu intenso si stagliava nell'azzurro del cielo terso, si protendevano continuamente verso il fercolo da dove santini benedetti: grandi, medi, piccoli scendevano a frotte verso i devoti che a viva voce li reclamavano.
Alcuni bimbi nudi emergevano d'incanto sopra la folla.
Rosei, rotondi, bellissimi, sollevati a viva forza dai familiari, si agitavano spaventati. Mille mani si protendevano verso di loro e delicatamente li sorreggevano nel loro percorso verso la vara dove, tirati su dalle possenti braccia del mastro di festa, venivano accostati alla statua del Santo. Pareva volassero sopra gli immobili paffuti angioletti che da parte loro, mentre reggevano gli argentei bracci reliquiari, sembravano guardarli sottecchi con malcelata invidia.
Trepidanti madri, lestamente li infagottavano stringendoli al petto per calmarne i pianti, contente di avere, con quel fugace contatto, ottenuta per i loro piccoli la protezione dell'amato Santo.
Un breve scampanellio, rabbiosamente ripetuto, incitò i portatori a proseguire il cammino e la vara lentamente si animò e riprese movimento.
A ogni fermata era la stessa scena e in mezzo ad una folla sempre strabocchevole, ceri, santini, offerte, pargoli, preghiere, urla, campane, botti e fuochi d'artificio si susseguirono incessanti.
Sino a quando la vara si arrestò davanti ad una dritta e ripida salita. Il basolato, composto da due lunghe parallele nere strisce attorniate da spigolosi sassi che solo qualche ciuffo di verde erbetta invernale riusciva ad addolcire, disegnava la ripida salita. In alto, una croce di ferro e il prospetto di una chiesa parata a festa sembravano sospesi a mezz'aria.
In passato, tutti i giorni, muli e cavalli si erano inerpicati per la ripida ascesa. I loro possenti zoccoli ferrati affondavano tra i ciottoli tirando con salda presa e senza apparente fatica carrozze di nobili e carretti di popolani le cui ruote percorrevano senza urti e vibrazioni le lunghe strisce di basole levigate. Anche le moderne vetture a motore seguivano il nero binario inerpicandosi senza fatica per la ripida ascesa. La vara certo non era a misura di carretti, carrozze o moderni veicoli e le sue ruote smarginavano abbondantemente dal comodo binario basolato.
Altri devoti si aggiunsero ai portatori costretti malvolentieri a lasciare loro spazio. Lo scampanellio ruppe l'insolito silenzio. Sotto una possente spinta, come per incanto, la vara si sollevò per poi, ondeggiando a veloce andatura, proiettarsi verso la ripida salita spinta dalle grida di incitazione di vviva San Mastianu.
Gli angusti spazi rendevano ancora più gigantesco quel miscuglio di argento, di legno, di uomini e le colonne del fercolo sfioravano paurosamente i balconi della stretta via. Sotto, lividi e ansimanti, i portatori sorreggevano la pesante vara mentre si affannavano ad aumentare ancora più il già veloce passo, arrancando sulla salita che sembrava interminabile. Quel groviglio di gambe si muoveva all'unisono e gli uomini, noncuranti delle ferite che i sassi spigolosi procuravano ai loro piedi vanamente protetti da qualche calza ormai sbrindellata, facevano attenzione a non incespicare.
Il tratto venne percorso in un baleno. Giunta nella piazza e ormai deposta sulle sue ruote, la vara disegnò, quasi senza neanche rallentare, un'elegante conversione per poi fermarsi in mezzo la piazza, tra la croce e il sagrato della chiesa dove numerosi monaci si sporgevano per vedere meglio l'affascinante movimento.
Nel trambusto generale, i portatori stanchi e trafelati uscirono da sotto la vara. Qualcuno si disset�, qualcun altro pose i piedi doloranti sotto il getto di acqua fredda generosamente rigurgitato da una vicina fontanella, altri ancora si accrocchiarono per commentare l'ultima fatica, nel frattempo che a ritemprare le forze, qualche bottiglia di vino faceva capolino! .... (continua).
Saro Bella