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Diario di guerra di Agostino Pennisi di Floristella -1916-
Le celebrazioni del centenario della prima guerra mondiale si stanno rivelando uno straordinario stimolo per le ricerche storiche, specie in ambito locale, che riguardano il tragico evento. In molte di tali ricerche, particolare attenzione viene riservata alla visione della guerra da parte di coloro che la vissero e spesso vi morirono. Diari, lettere, cronache coeve, oltre alla riscoperta di importanti fonti documentali del periodo bellico (articoli di giornali, documenti amministrativi, ecc.), mostrano una microstoria spesso apparentemente distante dai "grandi eventi" insostituibile, tuttavia, per recuperare il senso profondo della guerra così come la vissero i soldati, ma anche le loro famiglie, e in generale le città di provenienza dove la vita era condizionata dall'evento bellico più di quanto normalmente si è portati a credere.
Le Nostre ricerche si sono orientate già da tempo verso la ricerca dei diari di guerra, delle lettere e di altri documenti di cittadini -siano essi soldati o non- del comprensorio delle Aci. Tra i diversi documenti ritrovati, che man mano pubblicheremo in questo sito, iniziamo con il "Diario di Guerra" di Agostino Pennisi Statella, primogenito del barone di Floristella Salvatore e di Gabriella Statella.
Agostino nasce il 10 agosto del 1890, laureatosi in lettere e filosofia, sposa nel giugno del 1914 Agata Francica Nava. Poco prima dello scoppio della guerra, nel marzo del 1915, vide la luce il primogenito della coppia, Salvatore, subito seguito, nel maggio del 1916, da Orazio, nato appena venti giorni prima della partenza per il fronte di Agostino.
Gi� nel 1915 due fratelli di Agostino lo avevano preceduto nella chiamata alle armi: in giugno, Giuseppe e a dicembre, Antonino. Agostino, che aveva collaborato attivamente alla fondazione della sottosezione di Acireale della Croce Rossa Italiana nella quale si era arruolato come ufficiale automobilista volontario, parte per il fronte il 10 maggio del 1916 per raggiungere la Terza Armata attestata sull'Isonzo e prendere servizio con il grado di sottotenente e poi di tenente autiere di autoambulanza nella 28a Sezione Automobilistica della Croce Rossa.
Sin dal momento dell'invio al fronte Isontino, Agostino intrattiene una fitta corrispondenza con la moglie Agata e in contemporaneo, affida le sue vicende di guerra ad un diario. I diari di guerra, avevano una grande importanza per i militari impegnati nel conflitto. Oltre a conservare una memoria di prima mano degli eventi bellici vissuti, soddisfacevano anche una necessità psicologica di sfogo, quasi di liberazione se non di esorcizzazione degli eventi spesso drammatici che li riguardavano direttamente. A causa della pesante censura, nelle lettere ai familiari trovavano posto solo frasi di circostanza tese ad informare i loro cari della loro sopravvivenza e, possibilmente, della loro buona salute. I diari invece raccoglievano, senza la pesante censura militare e le omissioni prudenziali per non allarmare i parenti degli stessi soldati, le esperienze dirette, i loro pensieri remoti, la nuda e terribile vita di trincea, insieme alle considerazioni reali su una guerra che diveniva di giorno in giorno sempre piò crudele e spietata.
I testi seguenti, riguardano solo il "diario di guerra" di Agostino inerente il 1916, seguiranno gli altri anni. Lettere e diario sono stati pubblicati con tanta passione e molta bravura dall'Avv. Felice Saporita in una monografia tra gli Atti della Accademia degli Zelanti che a breve apparirà in forma integrale su questo sito. Parte delle foto a corredo sono dello stesso Agostino, valente ed esperto fotografo. Le lastre originali sono conservate presso l'Archivio Fotografico Consorzio Culturale Monfalconese.
14/07/1916
14 Luglio 1916
Ricevo a Padova il battesimo del fuoco dal cielo ...
Alle 22 e tre quarti si spegne la luce: il nemico è avvistato a Venezia. Esco dal teatro dove, per sedare un po' il tumulto che succede e coprire le voci femminili che gridano, s'intona dall'orchestra la Marcia Reale. Dal ponte detto monumentale sul Bacchiglione si vede la battaglia aerea su Mestre: razzi e shrapnels brillano nel plenilunio purissimo. Poi il silenzio. Sono le 23 quando le batterie antiaeree di Padova aprono il fuoco simultaneamente dai punti estremi della città. I riflettori, indeboliti dalla luna che dilaga, frugano nervosamente lo spazio.
Piovono qua e là, micidialissimi anch'essi, i bossoli da 75 della nostra difesa: uno sfonda il tetto dell'Hotel Corso ed entra nella stanza N. 58 abitata da un tenente della difesa antiaerea ...
I velivoli nemici sono quattro: non posso vederli, perchè è stupido di correre un rischio inutile stando fuori. Si sentono però i motori battere su di noi. Il frastuono cresce: la morte sale e scende sul nostro capo. La battaglia dura un'ora e mezza. Gl'infami hanno buttato giù 26 bombe su degli inermi colti nel sonno. Alla mezza ritorna la luce e le campane di tutte le chiese suonano.
Ci sono intanto due morti: il maggiore Sancellotti, comandante della difesa antiaerea e un operaio. Diversi sono i feriti, parecchi i danni.
Hanno buttato giù anche dei cartellini che dicono così: "avete fatto di Lubiana un ospedale: noi faremo di Padova un cimitero".
16/07/1916
16 Luglio 1916
Nella caserma del Deposito personale in Padova presto giuramento nelle mani del capitano comm. Alfredo Feliciangeli, comandante dello stesso Deposito.
17/07/1916
17 Luglio 1916
Alle 5 e mezzo del mattino parto da Padova assegnato alla 3' Armata. Alle 9 e tre quarti, dopo una sosta a Mestre e una a Oderzo, mi presento alla Delegazione di Portogruaro dove sono accolto nella maniera più maleducata da tutti. Il colonnello, conte di Ror, Commissario Delegato presso la Terza Armata, non rimane contento nè della macchina, nè della carrozzeria, nè di me, nè di niente, e mi ordina di proseguire per San Giorgio di Nogaro, dove aspetterò ordini.
Comincio a rimpiangere amaramente Padova, malgrado i suoi aeroplani.
A Latisana mi si rompe la cinghia del ventilatore: la macchina scalda troppo; decido di far sosta per riparare. Durante la sosta passa il Colonnello di Ror in auto: si ferma, mi chiama. Una lavata di capo perchè "sto ancora in giro", un cattivo gesto della mano e via. Alle tre e mezzo arrivo a San Giorgio: accoglienza militare, cattivi giudizi sulla macchina che si vuol sentir battere con precisione matematica dopo una corsa di 150 Km ...
Vado in cerca di alloggio. Passo di locanda in locanda: ripenso alle osterie di Quijote de la Mancha. Tutti rifiutano di alloggiarmi perchè non hanno camere. Penso ad un passo del Vangelo di S. Luca: "non erat eis locus in diversorio".
Si fa sera e guardo il cielo che s'intenerisce. Com'è lontana la mia bella casa, così calda, così piena d'amore!. .. Penso ad Agata che piangerebbe tanto, se mi vedesse, così respinto da tutti, quasi costretto a dormire all'aperto ... Mi vengono le lagrime agli occhi, non per me ma per Agata. Finalmente mi decido ad una seconda rivista delle poche e luridissime locande. Un oste ha infine compassione di me e mi offre una branda senza materasso in una soffitta: accetto ad occhi chiusi quantunque l'idea di dormir sotto il tetto col pericolo degli aeroplani mi fa un certo effetto.
All'ultim'ora trovo fortunatamente da migliorare la situazione: un oste, che avea giurato e spergiurato di non aver camere, ma ne offre una dietro presentazione di un amico che ho trovato. Benedetto l'oste e benedetto l'amico! C'è almeno un vero letto e non sto ai tetti: è una vera camera: sporca, piccola, sguarnitissima, ma infine non è una soffitta e non c'è una branda senza materasso.
Qui tutti i borghesi odiano i militari quantunque ci vivano su: non hanno che sgarberie e modi villani.
19/07/1916
19 Luglio 1916
E' impossibile dire come s'affina l'amore quassù ... Il sentimento diviene culto; la casa lontana, le persone che ci vivono, persino gli oggetti e le cose, che le appartengono, diventano sacre nel pensiero ...
E il pensiero non vive che di questo sacrario, lontano nello spazio, ma pur tanto e continuamente presente!
Notte del 23 Luglio 1916
La sera la cameriera ci dice di non pensare che siano aeroplani se sentiamo suonarle campane: la mattina verso le cinque deve esserci una Messa per dei soldati che partono. Va bene. Mi sveglio infatti al suono delle campane e dico: la Messa. Guardo l'ora: le tre ... Ho appena il tempo d'infilare i calzoni, metter le scarpe e buttarmi addosso il cappotto, che si sente il ronzio dei motori e quasi immediatamente lo scoppio formidabile delle prime bombe. Vado giù in una specie di trincea coperta da sacchi di sabbia.
La festa dura un'ora buona: sono in quattro e mandano già una quantità di bombe, molte delle quali, incendiarie. Infatti ecco una casa che brucia accanto alla mia locanda. Una bomba vien giù sibilando sopra di noi ed esplode con fracasso infernale sulla nostra ridotta; sentiamo la ventata dell'aria spezzata e l'acre odor della polvere: le donne gridano "sono i gas asfissianti" - Sentiamo perfettamente sul nostro capo il battito dei motori. Verso le 4 e un quarto le campane tornato a suonare. Si va fuori, le bombe sono state 53.
24/07/1916
24 Luglio 1916
Faccio il primo servizio. Vado all'Ospedale N. 30: mi danno 4 ammalati: due in barella, due a sedere. Quelli in barella hanno il tifo ...
Penso ad Agata, ai miei bambini e rivolgo la mente al Signore. Li trasporto due all'infermeria di S. Giorgio, due all'Ospedale 234 pure in S. Giorgio. Poi torno a Castello a riportar il medico di scorta: in tutto 20 km.
26/07/1916
26 Luglio 1916
Sono assegnato all'Ospedale di guerra N. 39. in Ruda. So che è l'ospedale più inoltrato, a 6 o 7 Km dalla linea del fuoco; so che c'è cattiva aria e qualche caso di colera. Vado via da S. Giorgio alle 15. Oltrepasso l'antica frontiera, attraverso Cervignano, Villa Vicentina; sono a Ruda alle 16. 19 Km.
L'ospedale è in aperta campagna ad un chilometro dal paese; paese per modo di dire: non ci si trova assolutamente nulla. In compenso è popolato da militari: un reparto del genio, uno squadrone del Piemonte Reale, una sezione di sussistenza, ecc. ecc. Gli abitanti sono austriaci della più bell'acqua; non nascondono il disprezzo più alto per noi e la speranza - quasi la certezza - del ritorno degli altri. Le donne sono sopratutto sgarbate. - Sono accolto cordialmente dal Capitano Sgambati, comandante dell'Unità Ospedaliera, e dagli altri ufficiali; si fa vita comune.
Comincio a sentirmi meglio che a S. Giorgio.
27/07/1916
26 Luglio - 15 Settembre 1916
Rimango all'ospedale di guerra 39; la vita scorre monotona, il servizio uguale. Si vivono giorni indimenticabili dal 7 al 15 agosto: è l'offensiva e la presa di Gorizia che vediamo svolgersi sotto i nostri occhi sul S. Michele, sul Sei Busi, sul Podgora, sul Sabotino.
Le raffiche dell'artiglieria sono poderosissime e continuano ininterrotte per due giorni. Non si dorme. Le notizie vengono giù spezzate, a sbalzi. Sono entrati a Gorizia. Non ancora. Il S. Michele fatale è superato.
Il nemico fugge. Anche Doberdò terribile. Molto più in là. Oppacchiasella ... Il Sabotino è nostro! è un'ansia terribile. 10.000 prigionieri. I feriti affluiscono. Brandelli di carne insaguinata. Muoiono chiamando "mamma" i più. Si piange.
La sera si vedono i razzi del nemico molto più lontani. Gorizia è nostra.
Si lavora di lena. Dopo le prime medicazioni si portano i feriti religiosamente agli ospedali di seconda linea. I medici sono instancabili: si opera la notte, il giorno, a tutte le ore. Si vive di delirio e di fede.
15/09/1916
15 Settembre 1916
Sono trasferito all'Ambulanza da montagna N. 20 a Soleschiano. La nuova azione è incominciata (36). Mi si ordina di partire immediatamente.
Il Direttore e gli altri ufficiali dell'ospedale 39 sono veramente dispiaciuti di questa mia improvvisa partenza. Io ho il cuore gonfio e vorrei piangere. Ma non piango: ci mancherebbe altro!
Non ho neanche il tempo di telegrafare ad Agata: butto giù la roba nelle cassette e via. Vado in cerca del paesetto di Soleschiano, dove ha sede l'ambulanza. Attraverso l'Isonzo fatale per il ponte di Cassegliano, ancora battuto dal nemico. Passo da S. Pietro all'Isonzo, trovo una stradetta all'imbocco della quale c'è un cartello che dice: "Soleschiano": è una mulattiera. Sbocco in un piano fiancheggiato da due casette frantumate; domando a un soldato per dove si vada a Soleschiano. Mi risponde: "è qui". Grande stupore. Guardo in giro: nulla! Un gruppo di alberi a destra, a sinistra il profilo crudele del Sei Busi che incombe, dietro la macchia buia del bosco Cappuccio coll'ultimo declivio del S. Michele; in faccia, la Rocca di Monfalcone. Il cannone abbaia vicinissimo e l'aria si fa sonora al passaggio invisibile dei proiettili.
Imbrunisce. Domando dell'ambulanza 20. Mi si indica il gruppo d'alberi. Mi ci addentro: una povera antica villa, adesso scalcinata e sforacchiata dal cannone. Mi presento al Direttore: un tenente medico simpaticissimo, che mi accoglie cordialmente; gli altri automobilisti mi festeggiano.
Malgrado tutto, sono assai triste. è uno squallore, e il cannone è furioso. La casa trema ed ha delle scosse secche ad ogni colpo: i vetri superstiti sono in continuo traballio. A certi colpi, che sembrano tonfi, dicono soltanto "questa è in arrivo" e continuano a chiacchierare.
lo li ammiro. Poi ho veduto che è tutto un meccanismo: si fa l'abitudine anche al pericolo.
Non ho neanche il tempo di mettere a posto le mie cassette. Bisogna andare a Doberdò!. .. Mi danno un elmetto, una maschera per i gas, mi forniscono di piastrina di riconoscimento, dicendomi: "prudente, la strada è molto battuta". Sono intontito e non capisco niente. Non ho più volontà. Non so se sogno o son desto. Lontana, lontana, lontana, vedo la mia creatura, i miei angioletti, la mia casa ... E parto per Doberdò.
Attraverso Ronchi, trovo lo scheletro di Selz - povero piccolo, piccolo paesetto ai piedi del Sei Busi, sconvolto, martoriato, annullato dalla rabbia del fuoco - e comincio a salire il Sei Busi. A destra il monte vien giù a picco, roggia e senza un filo di vegetazione; sono le famose cave di Selz: ci hanno portato grossi mortai da 280. Tutta la collina è seminata di batterie urlanti. Ho già sorpassato la linea dell'artiglieria. I proiettili passano tutti sul nostro capo, miagolando, frusciando, gemendo, come treni in corsa nella notte. A 500 metri sulla nostra sinistra vedo sollevarsi una colonna di polvere, di fumo. Il Direttore che mi sta accanto dice: "è un arrivo".
Io ho il cuore duro come una pietra, non mi duole, non lo sento.
Ma faccio uno sforzo sovrumano, per resistere al volante. Sento uno strana debolezza alle gambe, un dolore alle giunture, una stanchezza enorme ai polsi. Eccoci al pianoro: è il Carso tanto temuto. Si scorgono le posizioni nemiche: la quota 208, la 144 avvolta nel fumo. Giù la valle del Vippacco con in fondo il lago di Doberdò. Ecco il paesetto formidabile a proscenio sopra un'altura. Senza volerlo ripenso alla Portedda di Castiglione, alla verde vallata dell' Alcantara. E' la medesima configurazione: ma com'è arido qui il suolo, com'è brullo, com'è selvaggio! Non un filo d'erba, non un albero, non una pianta. Il terreno è dovunque sconvolto, logorato, sinistro. Sono per tutto escavazioni di mine, camminamenti, trincee abbandonate. Qua e là berretti, giubbe, gavette, bossoli, ogive di granate, carogne di animali, ossa umane ...
E' l'asprissimo campo di battaglia di un mese addietro. E un profondo senso di ammirazione, di commozione mi prende per gli insuperabili uomini, che ebbero la forza di resistere, di morire e di vincere su quella impervia collina. Entro a Doberdò: è quasi giù buio; anche questo non è che lo scheletro di un paese: nessuna casa è illesa, la maggior parte letteralmente rase al suolo. Per terra una fanghiglia rossiccia, color del cacao: la caratteristica terra del Carso. L'antica osteria dove è allogata la 31" Sezione di Sanità, dalla quale dipendiamo, è l'unica casa del paese che si regge ancora in qualche modo. Il cortile è pieno letteralmente di feriti in barella, posti a giacere sul fango: un coro di lamenti, di urli, di gemiti viene da tutte le parti; c'è sangue da per tutto ... Mi pare di non potere resistere, di svenire quasi, sono brandelli di carne umana orribilmente sanguinanti, volti deformi nelle fasciature, occhi vitrei, e le mani ... oh le mani di quel centinaio di moribondi distesi per terra, non le dimenticherò mai!. .. Mani che chiamano una visione lontana, che pregano, che imprecano, che annaspano ...
La bufera dei proiettili continua intanto a passare su di noi con un frastuono indiavolato: per parlare, bisogna urlare se si vuol che ci intendano.
Mi danno quattro dei più gravi in macchina e mi raccomandano di andar piano se voglio farli arrivar vivi all'ospedale. Scendo nelle tenebre il Sei Busi orrendo, fra i lampi delle batterie e il fruscio sinistro dei proiettili. Dallo Smistamento, mi mandano sino a Villesse. Nel ritorno, non trovo la strada: sbaglio quattro volte. Mi ritiro all'ambulanza che è mezzanotte. Non trovo da cenare: hanno dimenticato che c'era un automobilista di più. Non ci sono letti, nè molto meno materassi; trovo una branda e mi ci butto su tutto vestito coprendomi col cappotto: l'impermeabile mi fa da cuscino.
16/09/1916
16 Settembre 1916
Non ho dormito ... Il cannone vicinissimo scuoteva la casa facendo tremare i vetri; la branda senza materasso non è un buon letto. Ho appena il tempo di scrivere due parole ad Agata e mi mandano ancora su.
Tutte le volte che si parte, si saluta chi resta come se non si dovesse tornare: ogni giorno c'è qualche autocarro che rimane colpito sulla strada da noi percorsa ... E dire che passeremo sempre per imboscati e mai nessuno crederà al pericolo, cui ci esponiamo continuamente!. ..
Ho perduto la speranza di riveder più Agata e i bambini ... Povera, povera Aghetta! La sera si va a dormire in Chiesa tutti insieme: dormo per la stanchezza fisica e morale; tutto il giorno su e giù da Doberdò in mezzo a raffiche di artiglieria. Se a casa sapessero!. .. Mi accorgo di esser coraggioso. Sulla strada Selz-Doberdò filo diritto senza una scossa al volante, malgrado i miagolii, i fruscii, gli urli e gli scoppi. Nelle cave di Selz sono piazzati due mortai da 280 formidabili -. Ci si passa con la macchina a tre metri di distanza; ci consigliano di tenere la bocca aperta in quel tratto di strada: lo scoppio è potentissimo, tanto più che sono addossati ad un'alta parete di roccia.
Al ritorno, coi feriti a bordo, ho il sangue freddo di andare a passo d'uomo tutto il tempo e di mettere una gran cura ad evitar le buche. E' un vero martirio andare con quei lamenti di moribondi dietro le spalle: ad ogni minima scossa un grido; ne soffro anche fisicamente. L'elmetto mi pesa sulla fronte e mi dà un mal di capo tremendo da ieri ...
17/09/1916
17 Settembre 1916
Vado a Doberdò la mattina alle otto, Non ci sono feriti, ma se ne aspettano. Mi fanno attendere. Faccio qualche fotografia, giro un po' di qua e di là. Dietro la Sezione, c'è il Cimitero: sono dietro a seppellire otto cadaveri nella nuda terra, senza croce ... Come dev'esser brutto rimanere, anche morti, quassù!. .. Alle undici, i feriti non sono ancora arrivati, il capitano della Sezione mi dice, anzi mi ordina, di pranzare con loro. E' un tipo di uomo coraggiosissimo e brusco, ma dev'essere buonissimo.
L'ho inteso ordinare ai suoi dipendenti di andar a riposare, se non volevano cinque giorni di arresti ...
Non dimenticherò mai il pranzo fatto a Doberdò il 17 settembre 1916: gli ufficiali allegrissimi, garza al posto di tovaglioli, catini al posto di piatti da portata. Si era appena a tavola, quando la nostra artiglieria apre un fuoco d'inferno. E' indescrivibile il frastuono delle migliaia di proiettili sul nostro capo ... Ma ad un certo punto ci si guardò in faccia: cominciavano ad arrivar vicinissimi i colpi del nemico ... Ad un tratto uno scoppio formidabile, un nuvolo di polvere, una pioggia di calcinaccio: la Sezione era stata colpita in pieno e la facciata di mezzogiorno franava ... Miracolosamente, nessuna vittima del personale, una nella Batteria vicina, qualche ferito.
19/09/1916
19 Settembre 1916
Continua sempre la stessa vita, l'azione sembra finita, il lavoro prosegue.
Niente posta da casa da tanti giorni.
20/09/1916
20 Settembre 1916
Data memorabile per me. Povera Agata mia, se ti dicessero che il tuo Agostino è moribondo! ... Eppure lo sono realmente da parecchi giorni: oggi è proprio un miracolo se sono vivo ... Morire così lontano da te, lasciarti sola con quei due angioletti, sarebbe terribile! Ho paura che morirei disperato ... Ho fatto una preghiera dentro di me: che il Signore ascolti almeno quella!
Erano le cinque e mezzo del pomeriggio quando partii da Soleschiano per Doberdò; ero solo col caporale; i colleghi mi fecero i soliti auguri: partii sorridendo sotto l'elmetto. Ai piedi del Sei Busi un sottotenente di artiglieria mi ferma: "Dove vai? La strada è battutissima, ti accopperanno" ... Rispondo: "ho ordine di andar su: ci sono quattro feriti gravissimi da salvare". Lui si mette sull'attenti, porta la mano alla visiera e dice: "bravo!" Proseguo: mi sento pallidissimo e il cuore mi duole ... Ho percorso appena un chilometro, quando odo il caratteristiche fruscio ... chino istintivamente la testa ... un fischio e uno scoppio ... una colonna di fumo e di polvere a venti metri sulla mia sinistra ... è passata.
Sul pianoro, repentinamente su di noi, un miagolio secco e beffardo: sulla strada, a una trentina di metri davanti, trovo una buca, che scarto.
Arrivo a Doberdò, mi fermo davanti alle rovine della chiesa, lascio il volante e faccio per scendere ... "pan! pan!" ... : due sulla chiesa; una pioggia di pietre mi viene addosso picchiando sull'elmetto, una quantità di fango rosso mi èspruzzato in viso e sul pastrano. Si direbbe che l'hanno proprio con me: faccio il mio atto di dolore e mando un pensiero, che credo l'ultimo, ad Agata mia. Poi corro verso il cortile. Ma prima di arrivarci eccone altro quattro urlanti, sghignazzanti, infernali! Giù altra pioggia di pietre e di fango ... Non capisco dove vadano le schegge, e come non rimanga colpito. Ne vedo cadere una subito al di là del cortile: colpisce in pieno un uomo addetto alle cucine e lo sbalza in aria riducendolo a brani ... Nello spazio di cinque minuti ne arrivano 12. Intanto dispongo il carico e via ... Scendo giù pianissimo per non far soffrire i feriti e mi meraviglio io stesso altamente del mio sangue freddo.
Quando sono giù a Selz, respiro, mi fermo, scendo per guardare i feriti e chiedere come si sentano; uno mi pare gravissimo: temo che non arrivi all'Ospedale. Difatti, quando arrivo vado subito a guardare: è morto!. .. Mi si agghiaccia il sangue ... Devo avere rimorso di quell'anima?
... Ma un altro spettacolo ben più macabro mi aspettava. Gl'infermieri, dopo aver tirato giù i tre ancora vivi, fanno per prendere il morto e malaccortamente fanno scappar la barella - che stava in alto - dalla rotaia ... Un tonfo e quel corpo seminudo cade giù nella vettura inondandola di sangue. Io scappo inorridito ... Arrivo all'Ambulanza pallido come un cencio: tra il pericolo corso e lo spettacolo macabro veduto, mi sento avvilito. Tutti mi vengono intorno a chieder cosa abbia avuto. Racconto: si rallegrano affettuosamente con me. Poi si va a cena, e si dimentica tutto. Ma la notte non dormo.
21/09/1916
21 Settembre 1916
La macchina non va proprio più: è urgente di portarla all'autoparco in riparazione. Riceviamo un elogio, per il servizio prestato, dal Duca D'Aosta, Comandante la nostra Armata.
Continua sempre il lavoro, meno faticoso adesso e meno emozionante. Vorrei scrivere lungamente a casa, ma non posso, appena prendo in mano la penna e penso a loro lontani, mi viene una tale agitazione che m'impedisce assolutamente di scrivere. La sera ricevo finalmente un telegramma di Agata, dopo 14 giorni che non sapevo più niente!. .. Bisogna essere bene infelici, perchè un pezzetto di carta con parole vergate da mano ignota dia una simile emozione!. ..
22/09/1916
22 Settembre 1916
Ricevo l'ordine di recarmi a S. Giorgio per riparazione. Il Direttore dell'Ambulanza, i colleghi mi raccomandano di far di tutto per ritornare: non vogliono assolutamente altri che me.
23/09/1916
23 Settembre 1916
Sono a S. Giorgio, di nuovo in Italia ... Mi sento come pazzo ... mi pare di essere in un nuovo mondo ... Tutto mi pare più bello ... Sento la gioia di esser vivo ... Quando posso ritirarmi nella mia stanza ho una crisi di pianto, di cui io .stesso ho paura.
16/11/1916
16 Novembre 1916
Sono un'altra volta in zona di guerra!!. .. Sono stato ammalato durante il viaggio. A Bologna credevo di non poter più proseguire ... Avevo la febbre alta e un mal di gola terribile ... Si trattava di un'angina con placche bianche, come quella che ebbe Agata nei brevi giorni che fui con lei ... mi feci una specie di pennellazione con le dita ... Poi ebbi dei dolori fortissimi al fegato ... Fui sul punto di presentarmi al posto di soccorso alla stazione di Bologna, donde sarei stato internato in qualche ospedale. Non lo feci solo per il pensiero di casa. Che cosa avrebbero detto sapendomi a Bologna in un Ospedale? Non sarebbero impazziti?
Proseguii dunque rincattucciato in un angolo dello scompartimento, mezzo addormentato per la febbre, senza prender niente tutto il giorno.
Arrivai a Udine più morto che vivo battendo i denti. Gaetano e Nino (38) mi dissero subito che ero ammalato ...
Adesso sto molto meglio: è un fatto che in zona di guerra si sta sempre bene in salute; certo per una grazia speciale del Signore.