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Indice |
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Presentazione "Tratti di Storia" di Mario Vecchio |
la Genealogia della Famiglia |
Gli Antenati della Famiglia |
Padre Erasmo Vecchio |
Il pittore Michele Vecchio |
Tutte le pagine |
La struttura del libro di Mario Vecchio ha una disposizione diacronica degli eventi, è come un viaggio nel tempo! L'autore identificandole le generazioni dei Vecchio li inserisce secolo dopo secolo nel contesto storico della città.
Veniamo così a sapere che i Vecchio "quasi certamente" discendono da un antico antenato catalano (tal Giri, probabilmente diminutivo di Girolamo) trapiantatosi ad Aquilia, dove, tra i registri della chiesa dell'Annunziata (l'attuale Cattedrale), l'autore ha ritrovato i primi membri della famiglia. In assenza di documenti che l'attestino inequivocabilmente, l'autore con molta correttezza, indica come una sua ipotesi l'origine spagnola della famiglia. In effetti, è questa una tesi attendibile visto che non sono rari gli esempi di catalani che in quei tempi si naturalizzano e prendono famiglia nel nostro territorio.
Nel Cinquecento dai figli e nipoti di questo comune capostipite, si differenziano alcuni ceppi che stabiliscono la loro residenza nel quartiere di San Michele (da questo ramo della famiglia provengono il pittore Michele e padre Erasmo) e alla Cubisia (Santa Lucia), dove nel XVIII secolo la famiglia trova un folto numero di presenze.
La ricerca dell'autore è capillare. Le sue indagini riguardano i registri delle chiese di un vasto comprensorio: da Santa Lucia ad Aci Catena, ad Aci San Filippo, da Acireale a Linguagrossa, dove la tradizione orale tramandata in famiglia fissava, sbagliando, la propria origine. Inseguendo la ricorsività del patronimico, le indagini si allargano progressivamente anche a Francofonte, Lentini, Scordia, ecc.
L'autore oltre alla ricerca puramente genealogica, che gli permette di identificare i nomi degli antenati e talvolta anche le date di nascita, matrimonio, morte, elementi indispensabili per ricostruire l'albero genealogico della famiglia, estende la sua ricerca ad altre fonti documentarie per collocare in ambito sociale i suoi antenati. Vuole così anche rispondere alla domanda che facevano? Qual era la loro posizione sociale all'interno della comunità?
Le notizie del Cinquecento scarse e frammentarie non gli danno risposta ma nel Seicento ritrova diversi familiari presenti nel ristretto numero degli abilitati a ricoprire le cariche di Acatapano e di Giudice Ideota.
L'Acatapano (Catapano) o Maestro di Piazza era una figura dell'apparato amministrativo locale che provvedeva al regolare rifornimento di prodotti indispensabili come il pane, vigilava sull'applicazione di prezzi calmierati (mete), sulla regolarità di pesi e misure denunziando ai giurati, violazioni e trasgressori. In breve controllava che i venditori non frodassero i compratori.
I Giudici Ideota erano invece dei funzionari dell'amministrazione giudiziaria eletti annualmente che avevano il compito di giudicare le cause di minima importanza. Per capirci all'incirca un giudice di pace odierno scelto tra abilitati che non avevano studiato legge (non togati).
Consultando alcune liste di abilitati alla carica, l'Autore identifica un Vecchio Francesco candidato nel 1615 ad Acatapano per il quartiere di Aquilia, candidatura riconfermata per circa tre anni di seguito e successivamente ancora per qualche altro anno per poi trovare lo stesso Francesco, candidato a Giudice Ideota negli anni 1626 e 1627. Nel Settecento i Vecchio che aspirano alla carica di Acatapano o Giudice Ideota si infittiscono a testimonianza di come ormai la famiglia abbia diversi esponenti inseriti in posizione primaria tra le maestranze.
La maestranza di riferimento per molti dei Vecchio è quella dei mastri d'ascia e dei mastri falegnami titolari di botteghe con lavoranti e apprendisti. Molti esponenti delle famiglie Vecchio sono chiamati a ricoprire la carica di Console della maestranza dei mastri d'ascia o di quella dei mastri falegnami e anche a rappresentare la categoria dei mastri (ministrali) ricoprendo incarichi secondari nel governo della città. In tali incarichi collaboravano e talvolta contrastavano gli esponenti del ceto nobiliare che detenevano il monopolio delle più alte cariche del governo cittadino.
L'autore utilizza nel libro anche dati sulla consistenza della popolazione. Sono dati conosciuti, provenienti da fonte ecclesiastica come le visite pastorali custodite nell'archivio della Diocesi di Acireale. Dati che vengono utilizzati dall'Autore per creare tabelle e grafici utili a mostrare l'incremento della popolazione di Acireale.
Nel XVIII secolo alcuni esponenti dei Vecchio raggiungono posizioni economicamente agiate e sono attivi nella conduzione di fondi agricoli spesso di proprietà, dove producono e commercializzano il vino, impiegando talvolta i capitali provenienti dall'attività agricola anche per competere nell'aggiudicazione delle gabelle comunali.
Il termine gabelle assume diverse accezioni comunque correlate. In Sicilia era sinonimo di affitto e "a gabella" era ceduta la riscossione delle imposizioni fiscali su beni e servizi, destinati a pagare sia le imposte reali come anche ad affrontare le necessità della città.
Nel mese di agosto di ogni anno la voce stridula del precone (è un termine di origine romana che indicava il pubblico banditore), a tratti inframmezzata dal suono acuto della sua trombetta, annunciava viniti tutti che la candela è allumata et la gabella si voli liberari e lu statu è postu ad onzi 20 ... avanti dicituri cui voli diri alla gabella delli pisci porti li suoi polisi che la candila è allumata. I concorrenti (dicituri) apprendevano così che l’offerta base (statu) era posta a 20 onze e che il tempo utile per avanzare le offerte (polisi) iniziato con l’accensione (allumata) della candela terminava al suo naturale spegnimento per consunzione.
L'aggiudicazione della gabella restava sospesa fino a una seconda e nel Settecento anche terza ribandita con relativa allumata di candela, per essere alla fine liberata (aggiudicata) al migliore offerente che provvedeva alla riscossione del tributo nello scaro di Santa Maria la Scala e nello scaro di Capo Mulini dove i marinari, i padroni di barche, i rigattieri dovevano sgabellare il pescato (pagare la gabella) versando grana due per ogni tarì che importava la vendita dello stesso pescato (una imposta pari al 10%).
Per partecipare alle aste di aggiudicazione delle gabelle era quindi necessario avere capitali di rischio adeguati o poter contare su pleggerie (fidejussioni) di parenti, soci, o prestatori di denaro, dotati di beni e proprietà che in mancanza della regolare corresponsione delle rate posticipate della gabella, potessero supplire al mancato pagamento. La partecipazione alle aste era quindi riservata a una stretta cerchia di persone (oggi li chiameremo finanzieri- capitalisti) munite di adeguate risorse economiche come in quel tempo dovevano essere i Vecchio.
Nei capitoli finali l'Autore si concentra su due personaggi importanti della famiglia Padre Erasmo e il pittore Michele Vecchio.