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6 Novembre 1917
Agata, Agata, Agata (48), e dovevano aver questa fine tanti e così duri sacrifici? questa fine vergognosa e catastrofica? ... È proprio possibile?
O non sragionano piuttosto tutti? ... Agata se tu vedessi come son ridotto, attraverso quale terribile odissea son passato, fisicamente illeso per miracolo, ma moralmente finito, finito, finito!. .. Agata mia, io tremo al solo rievocar lo strazio, la fatica, gli stenti, i pericoli che mi hanno accompagnato fin qui ...
Le scene di orrore e di vergogna, cui ho assistito sono indescrivibili: pareva che fosse venuta la fine del mondo ... Che cosa triste, che cosa orribile è la ritirata di un esercito colossale, dietro il nemico incalzante!. ..
Cercherò di mettere per ordine la storia angosciosa di questi giorni spaventevoli.
Certo non riuscirò a dirti tutto però, povero fiore, perché è stato troppo, troppo, troppo!. ..
Il 24 per il tradimento di alcune brigate della 2' Armata, gli austrotedeschi ruppero sull'alto Isonzo il nostro fronte e si spinsero a marce forzate, senza trovare resistenza, fino all'antico confine, dal lato di Cividale.
Per questo, tutta intera la nostra sempre eroica, compatta, gloriosissima 3' Armata veniva a trovarsi repentinamente in pericolo di essere aggirata alle spalle e tagliata fuori ... Da quell'ora si cominciò a viver l'angoscia più pungente: le popolazioni civili del Friuli furono invase dal panico e cominciarono a sgombrare il loro suolo. La nostra prima linea, dal Vippacco al mare, era però sempre al suo posto e resisteva superba, magnifica alla crescente pressione delle truppe interamente germaniche su quel settore.
Così trascorrono in un'angoscia mortale il 25, il 26 e il 27. Il 27 mattina, quando già elementi di avanguardia nemica erano in vista di Udine, io ero ancora nel Vallone, disperato, in cerca del reggimento di Nino, che non potei rintracciare. Intanto il ripiegamento incominciava desolante, angoscioso, fatale; il fuoco era stato appiccato al materiale intrasportabile; le strade erano ingombre fino all'incredibile di carriaggi, camions, veicoli di ogni genere, colonne di quadrupedi, soldati d'ogni arma, di ogni corpo, cannoni, ambulanze, ospedali someggiati ...
Pioveva dirotto. Un alternarsi di ordini, di comandi, di urla, correva da un capo all'altro. Nei fossi fiancheggianti le strade già una quantità di macchine, di carrette giacevano capovolte, buttate giù dalla calca, urtate dall'agglomerarsi della fiumana innumerevole, slittate per la fanghiglia melmosa, franate giù nei cigli della via rotti da tanto passaggio.
Ritornare a S. Giorgio fu un'impresa: ci misi nove ore a piedi, su camions, su carrette, infangato, bagnato, irriconoscibile. La sera a Palmanova era un inferno: avevano bucato tutti i bidoni del grande deposito di benzina e questa si era sparsa sulle pozze d'acqua pei campi intorno al paese, dovunque. Una motocicletta, passando, vi appiccò il fuoco e venne immediatamente inghiottita dalla fiamma immane che repentinamente si levò dalla terra per ogni verso. Contemporaneamente i depositi di munizioni cominciavano a saltare: lo scoppio dei proiettili a decine, a centinaia era ininterrotto e la pioggia di schegge in tutti i sensi era micidialissima.
Dovetti attraversare quella bolgia infernale: né potrò mai dire lo scempio di carne umana che vi scorsi ... Come io rimanessi illeso non so ... Ma niente era più terribile dell'angoscia che mi squarciava l'anima al pensiero di lasciarmi indietro Nino, non trovato, non visto ... Arrivai a S. Giorgio di notte. La notte era rischiarata dal bagliore sanguigno, pauroso dei cento incendi. Il grido delle madri in cerca dei loro piccoli era terribile, il pianto delle ragazze, dei bambini straziantissimo! La confusione aumentava a vista d'occhio: erano richiami disperati da tutte le parti, grida selvagge, imprecazioni, bestemmie ...
La nostra Delegazione era già andata via verso Mestre, l'Intendenza era partita, i Comandi sfollavano ininterrottamente: il senso di essere abbandonati, di dover cadere così, scioccamente, in mano al nemico, cominciò ad entrare in noi sconsolatamente ... Che senso terribile!. ..
Non era che apparenza, certo, ma si aveva l'impressione che ogni direttiva mancasse, che si dovesse fuggire, così vilmente, abbandonando tutto e senza nostra colpa ... Era snervante! ...
L'autoparco doveva sgombrare l'indomani mattina; si sarebbe arrivati in tempo a passare il Tagliamento a oltre venti chilomentri di distanza?
Passammo la notte a imballare il materiale trasportabile, a distruggere l'altro, febbrilmente, nervosamente, come automi, in silenzio, sotto la pioggia nel chiarore rosso del fuoco, in mezzo all'ululato delle mille esplosioni ... Il bisogno fisico del cibo cominciava a pungermi, ma non era da pensarci a soddisfarlo ... La tristissima alba venne su lentamente e ci fece paura: avevamo tutti volti spauriti e idioti, occhi sconvolti.
Da due notti già non si dormiva per la febbre.
Avevo radunato la mia roba strettamente necessaria in una cassetta: le lettere c'erano tutte! Il resto doveva essere sacrificato; non c'era neanche posto per me sulle macchine dell'autoparco ... mi incamminai a piedi, solo, con la morte nell'anima ... sotto la pioggia scrosciante ...
Prima avevo chiesto che mi lasciassero rimanere, che mi mandassero di nuovo in su: il pensiero di Nino mi ossessionava ... Andai così fino a Latisana ... Che orrore!. .. Fradicio, zuppo, affamato, intirizzito, con in gola lo sgomento di trovare il ponte saltato e rimanere in trappola ... Che cosa feci durante quel giorno e la notte seguente? ... Non mi par vero ancora ... è così orribile! - Sentendo le forze mancarmi, mi feci forza a chieder l'elemosina di mezza galletta ad un soldato ... Era già tutta la giornata precedente che non mangiavo e con quel po' di galletta passai ancor tutto quel giorno e il giorno appresso ...
Mi veniva tanto da piangere pensando ad Agata, ai nichi, lontani ... !
Ma nella notte, che s'era schiarita, un'altra scena di terrore e di morte mi aspettava. Fummo assaliti dagli aeroplani, che ci seguirono per quasi tutta la notte, bassissimi, orrendi, lanciando bombe e mitragliando quella moltitudine inerme ... lo mi domando ancora come nessuna palletta di mitragliatrice, come nessuna scheggia di bomba mi abbia sfiorato... Eravamo una fiumana fittissima, folta, compatta, per la quale bisognava fare a gomitate per avanzare e i mostri volavano a non più di cento metri lungo quella fiumana, con le mitragliatrici puntate su di essa ... Quel "tac tac tac" resterà per sempre nelle mie orecchie terribile.
Niente da ripararsi, niente da sfuggire.
Un colonnello, furibondo, mi viene innanzi a un certo punto e mi investe: "lei, tenente, cosa fa? Occorre che glielo dica? Tiri fuori la sua rivoltella e spari sugli uomini che abbandonano il carreggio! ... Per Dio si svegli! Così, così!" E detto fatto scarica la sua arma su due soldati che si abbattono senza un grido ... Mi pareva di esser divenuto di legno; estrassi macchinalmente la rivoltella: ma ebbi la forza di approfittare di un momento di scompiglio e squagliarmi nell'ombra, ben lontano dal colonnello che non rividi più. Ma chi dirà l'orrore provato nell'urtare con un piede il corpo di un bambino abbandonato nel fosso, travolto forse dalla calca, o ucciso dagli aeroplani?! Dio mio! Credevo proprio di dover impazzire da un momento all'altro, la fatica, le emozioni, lo sgomento erano troppo forti ...
Quando la mattina del 28, misi il piede sulla riva destra del Tagliamento credetti di sognare ... Avevo perduto interamente la speranza di toccarla ... Parecchie volte la disperazione stava già per guadagnarmi e la spossatezza infinita mi persuadeva ad abbandonarmi in un fienile e aspettarvi o il nemico o la morte ... Ero venuto giù più per forza d'inerzia che per altro: muovevo ormai le gambe in un modo ridicolo, tutte di un pezzo come se fossero state di legno o avessi avuto le scarpe di piombo.
Queste erano del resto divenute così pesanti a causa dell'acqua di cui erano piene da costringermi realmente a una vera fatica, ad uno sforzo sovrumano per muovere un passo. Malgrado l'impermeabile ero bagnato fino alla camicia interamente ... Cambiarsi? ... e come e dove? ...
Trovar un buon fuoco? ... e da chi? ... Da mangiare, e dove? ... Latisana era in preda al saccheggio: la popolazione in gran parte fuggita.
Entrai in una chiesa che trovai aperta e mi lasciai cadere sui gradini di un altare. Non so quanto vi rimasi, se pregassi, se ringraziassi il Signore, se pensassi a te, fiore ... Ero finito!. .. quando uscii, vidi di contro l'insegna di un ufficio telegrafico: vi entrai; intesi con gioia infinitissima che mi rianimò che si poteva ancora telegrafare!. .. Cercai nel mio portafogli ... avevo ancora trenta lire: me ne ero fatto prestare cinquanta da un collega tre o quattro giorni prima ... Ne spesi cinque e cinquanta per telegrafare e mi intesi subito meglio!. .. Poi mi trascinai fino all'uscita del paese e attesi che qualcuno avesse pietà di me e mi facesse montare su un camion, su una carretta, su qualunque cosa: proseguire a piedi non potevo più. Così trovai modo di arrivare a Portogruaro la sera.
Là trovai da mangiare una buona pagnotta e da dormire in un fienile così bagnato com'ero, battendo i denti per il freddo. E non dormii.
Ero in preda a uno spavento infinito: tutto quello per cui ero passato mi stava dinanzi, mi ossessionava. L'indomani dovetti ancora proseguire a piedi fino a S. Donà di Piave, donde su un camion raggiunsi S. Michele.
Là finalmente potei sostare un poco accolto con vera carità dal medico del villaggio; la vista di un buon letto, di una buona cena, mi fece tanta impressione da sentirmi intenerire ... Rimasi a S. Michele quattro giorni; poi venni a Padova. La prima sera qui fui costretto a dormire in un letto matrimoniale insieme a un collega mezzo sconosciuto. Tutto era gremito: c'era tutta Udine, tutta Treviso a Padova.
(da un appunto del 1954)
" ... Che cosa ne era stato di Nino? Ecco: sotto l'imperversare del bombardamento nemico, un porta-ordini del Comando di Reparto gli aveva rimesso un quadratino di carta, dove era segnata la sua ... sentenza di morte, né più né meno. Il Rgt. ripiegava insieme con tutti i servizi; a lui si ingiungeva di rimanere sul posto con 12 uomini. Così è scritto su quel quadratino di carta, che Nino serbò sempre ... Non era una sentenza di morte?
Si pensi: Nino - 23 anni, vissuto, fino allora, provveduto e custodito fra le pareti domestiche, aduso a pensieri facili, sereni, semplici, sempre gaudiosi - isolato ora di colpo dal mondo, nudo di ogni umano conforto, in un brago di fango, in un inferno di arroventate esplosioni, sotto una raffica continuata di schegge, di pallottole, di micidiali frantumi di roccia carsica, con la Morte e con una responsabilità nuova e grave sulle spalle, per di più: quella di 12 vite umane, o, se meglio piaccia, di 12 anime, che era in sua facoltà impiegare come credesse, senza tener conto né delle singole loro situazioni personali e familiari in rapporto al tempo, né del loro stato spirituale in rapporto all'eternità. Responsabilità che si rendeva ardua ancora di più quando la si collegasse, com'era pur doveroso, con l'altra, più generica ma non meno grave, di ostacolare, ritardandola più che fosse possibile, l'avanzata del nemico, per proteggere la complessa e imprevista ritirata dell'Esercito, nonché l'esodo in massa delle popolazioni civili.
Nino, nonostante la poca esperienza che la giovane età gli consentiva, era persona da mettere immediatamente a punto la complessa gravità del caso; e certamente ne individuò la doppia responsabilità, che gliene derivava.
Pochi di certo, in un frangente come quello, sarebbero rimasti padroni di sé; Nino fu di quei pochi: perché subito, ne son sicuro, levò la mente a Dio sommo implorandone l'aiuto. E rimase sereno. Passò a disporre dei suoi uomini con parole e con modi assai diversi -non dubito - da quelli di prammatica, consuetamente nell'Esercito ... «Tout est bien ce qui finit bien» scherzosamente egli poi scrisse rifacendosi a un modo di dire assai frequente di mamma ..."