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La "Grotta" di Acireale
Quando, nel 1752 la grande caverna in cui sorse il celebre presepio di Acireale fu trasformato in chiesa, il burrone di sette lave, che in quel punto scende al mare con declivio meno erto e selvaggio, non era ancora tutto un giardino verdeggiante come oggi, ma una macchia aspra e fitta.
Sotto la muraglia immane, Santa Maria la Scala stendeva i suoi moli come braccia aperte in difesa contro le furie del mare; venivano legni da ogni parte, con carichi preziosi, e partivano poi recando i prodotti della terra ferace.
Uscendo in barca verso il mare aperto i marinai vedevano splendere la bianca chiesa, semplice e sola.
Quale luogo si poteva scegliere più adatto per dedicarlo alla Natività, quale artifizio umano poteva profumar di poesia l'asilo del Poverello Divino, quando il fuoco della montagna ne aveva formato uno ove la scena biblica trovava uno sfondo di grandiosità mistica?
La "Grotta" ebbe così i suoi "pastori" che la mano di un rinomato artista plasmò in grandezza d'uomo, i telai acesi li vestirono di seta e di damasco; ebbe il suo Bambino sulla paglia, la soave Madonna e gli angioli osannanti.
Le figure hanno gli atteggiamenti che la tradizione ha tramandato: volti estatici di pastori e di contadini, ove lo stupore e l'adorazione sono espressi con arte precisa.
Il tempo ha dato il suo colore ineffabile alla materia inerte, rendendola quasi viva, e sembra che da un momento all'altro dalla cornamusa e dalla zampogna dei due pecorai debbano uscire le note per accompagnare la nenia dei canti natalizi.
Quando i tre Magi vengono esposti, sembra davvero arrivino da terre sconosciute, oltre i monti che s'intravvedono nelle chiare giornate sfumare nell'orizzonte, e che gli scrigni che essi portano al Re Bambino chiudano la misteriosa fragranza delle lontananze.
Per circa due secoli, nella notte prodigiosa, quando tutte le stelle tremano nel cielo sconfinato e la montagna è bianca di neve recente, il presepio rinnova nella "Grotta" la poesia della nascita divina. Accorrevano negli anni lontani i rustici abitanti della campagna vicina, cantavano le lodi che si cantano ancora con le stesse parole semplici.
Ma non soltanto la suggestiva bellezza del sito, non soltanto i "pastori" arricchiscono la "Grotta".
Vito D'Anna, che dal nostro Pier Paolo Vasta apprese l'arte sua mirabile, vi lasciò una tela preziosa. La "Natività" certo una delle migliori opere dell'Artista che dal Papa fu nominato conte e cavaliere dello Speron d'Oro.
La grande tela è ben conservata. Sopra un velo giace il Bambino, che volge gli occhi alla Madre ed a Lei apre le piccole braccia. China sul Figlio, la Madonna in atto di tenerezza materna solleva con una mano il candido lino sul quale il suo nato riposa, e con l'altra accosta al seno il manto che la veste.
Una luce miracolosa sembra sprigionarsi da queste due figure centrali. Il viso della Madonna, quasi di profilo, è di una purezza squisita. La fronte, incorniciata dai capelli divisi in due bande, lo sguardo che splende sotto le palpebre socchiuse, la linea diritta del naso, la piccola bocca ed il mento rotondetto nel viso ovale, le mani nobilissime, danno alla figura una suggestione profondamente mistica.
Il pittore doveva sentire tutta la poesia della maternità divina nel dipingere la sua tela. Nello sfondo la figura di S. Giuseppe ha la ieratica grandezza patriarcale. Due pastori adoranti dietro il giaciglio, dai tratti forti e decisi, ed in primo piano una donna ed un fanciullo in preghiera.
Ricchezza di paludamenti, nelle figure, come il secolo dettava: ampie pieghe magistralmente dipinte. Il verde del drappeggiamento della Madonna, il rosso cupo di quello della donna, la carnagione bianco ambrata delle figure femminili, rosea in quelle infantili, i volti dei pastori abbronzati, con i grandi occhi neri di gente semplice, dicono che tavolozza felice possedeva l'autore.
Nella notte fredda, accorre ancora il nostro popolo alla "Grotta", che nella strada solitaria, alta sul mare, chiama con una fievole voce di campana, al rinnovarsi del rito millenario.
da: "Il Popolo di Sicilia", 24 Dicembre 1931 (Immagini tratte da A. Sciacca, Il racconto dell'Arte, Acireale, 2008)