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Breve vita e morte di Carnevale
Si balla. Il salone del Palazzo di Città, i vasti e signorili locali della Stazione di Cura sono stati trasformati in elegantissimi ridotti.
Trofei di maschere e di tamburelli istoriati, nastri multicolori, fiori profusi in ogni angolo, rami di mandorlo che formano un trionfo candido e roseo.
Automobili che arrivano dai quattro angoli della provincia e stazionano in lunghe file, suoni squillanti di orchestrine, brusìo di gente lieta.
Tutte le tinte che la moda dà ai vestiti serici, tutte le sfumature dei colori, frusciare di sete e di veli, pellicce morbide e calde, acconciature femminili curate, luccicare di gioielli.
Le vesti sono piccoli capolavori creati dalle dita delle sarte, pieghe e risvolti che cadono come pennellate di chiaroscuro, corpetti copiati con paziente cura dai modelli recentissimi, ornamenti sobri e intonati, note vivaci di velluti e di nastri per rompere l'uniformità di una tinta, raccordi armoniosi tra il busto e la veste.
Uno di quei cronisti che una volta si chiamavano mondani avrebbe lavoro per tutta una pagina di giornale; per descrivere queste eleganze, si dovrebbe trovare un aggettivo difficile per ogni donna che viene ad allietare una serata di ballo.
La permanente ha dato ad ogni zazzeretta una forma appropriata al profilo del volto, riccioli che incorniciano, pieghe che ondulano, pettinature che prendono il nome da epoche e da sovrane, piccoli serti di fiori che fermano l'acconciatura, nastri che sembrano diademi.
Chi non sa o non vuole ballare potrebbe ben contentarsi di ammirare queste giovinette che portano, con spigliata distinzione, il sorriso della primavera, queste dame che passano con incedere lieve nel giro delle danze.
Questo spettacolo di grazia e di bellezza rende più liete le feste, dà ad esse una nota di signorile fascino, dà il tono a questi raduni ai quali intervengono ospiti graditissimi che trovano nella nostra città ambienti di composta gioia e di aristocratica eleganza.
In piazza Duomo c'è un girotondo di figure irreali, che ogni sera splendono di luce e gridano con i colori vivacissimi dei loro costumi.
La faccia tonda e paffuta di un Carnevale enorme domina la scena, ed alte sui fanali , a coppie, le figure delle maschere italiane sembrano fermate da un ordine improvviso, mentre intrecciano aeree carole ed errano crucciate da gelosi dispetti.
Passa sotto di esse la folla. Si accalcano sotto i loro occhi i gruppi che si urtano e si inseguono in una battaglia cortese di coriandoli; ballano i popolani al suono di una banda rumorosa, sfilano vecchi e giovani sotto il girotondo delle vesti corte delle pagliaccette e delle colombine, che fanno il giro nella piazza rigurgitante.
Vedranno esse sfilare i cortei dei carri ove l'estro e la bravura hanno elevato figure grottesche e personaggi impossibili, le macchine infiorate, i corsi mascherati dedicati ai bambini; ascolteranno le cante scanzonate, i motivi allegri, la voce molteplice ed immane di questo Carnevale siciliano che ha assunto una caratteristica particolare, tipicamente isolana.
Ritte sui pali e sulle antenne le maschere policrome vedranno arrivare carovane di automobili, fiotti di gente sempre più fitti, fino a quando la piazza sarà colma, nereggiante, ed esse saranno come la rappresentazione della gioia che è fatta per breve ora, che a volte è formata di piccole cose, effimera e passeggera.
Scenderà sotto i loro occhi, l'ultima sera, Carnevale enorme, grosso e tondo; carta colorata sostenuta da un'impalcatura leggera e, attorno alla sua mole, che è poi tanto lieve, zampilleranno fon tane di fuoco, girandole vorticose, sprizzeranno lampi di magnesio, bagliori di fiaccole, vivide luci colorate, scoppieranno razzi, saetteranno lingue di fiamma, finché il fuoco brucerà la carta ed i colori, e Carnevale sarà cenere.
Eppure, carta, colori, tela pitturata, coriandoli e fiori, travestimenti fatti di falsa seta e di orpello, stelle filanti e fuochi d'artifizio, ballabili e festoni di verde, luci e canti sono le cose che formano Carnevale; un insieme di insignificanti motivi e la possibilità d i ritornare un po' bambini, ridere di una parola e di una smorfia, dimenticare per un'ora o un giorno la caducità delle cose umane ed i noi stessi, sentirsi circondati da tanti altri che sono un po' bambini come lo siamo diventati noi ammirando una figura impossibile che troneggia sopra un carro o una mascheretta misteriosa che passa.
C'è uno che ha vinto sempre l'ultimo premio.
Fin dal primo Carnevale, dieci anni or sono, ha costruito sempre il suo carro e mai ha fatto un passo avanti, in graduatoria, dal premio di consolazione.
Ha modellato con le sue mani la creta ed ha ricavato facce e grinte grottesche e terribili, ha incollato quintali di carta per costruire le teste enormi, ha impagliato pupazzi, ha creato personaggi di varie fogge, ha allestito nani, giganti, cuochi, pagliacci, bestie e mostri.
Si è dipinto il volto con nero-fumo, con biacca e con rossetto, ha indossato vestiti di tutti i tagli, ha vestito i suoi personaggi con tele di tutte le tinte ed ha sperato sempre un premio adeguato alle fatiche.
L'idea per imbastire un buon progetto non gli è mancata, la sua abilità per modellare le figure si è sempre più perfezionata, ma gli è sempre mancata la forza per le ultime rifiniture, si è trovato a mani vuote, quando non restava che ripulire e dare l'ultimo tocco.
Dopo la premi azione è stato assalito sempre da fornitori esosi ed impazienti, ha litigato, ha reagito e ha fatto a botte.
Ogni anno ha giurato sulle tombe dei suoi avi di non fare mai più il carro, ha imprecato e gridato all'ingiustizia.
In compenso però ha vissuto ore di follia, è stato come un creatore che mostri al mondo l'opera sua bella, ha goduto sopra quel carro traballante, tra le figure inverosimili, tra pupazzi e mostri, ore d'ebbrezza travolgente.
Quest'anno s'era ritirato sotto la tenda come un eroe mitologico.
Non mi pescano più, diceva, non mi vedranno in gara perché non voglio più sostenere la parte di fanalino di coda.
Ma, entrato febbraio, non ebbe più pace. Dormiva male, litigava con i familiari, era diventato irascibile e collerico.
Finalmente non ne poté più.
C'era un'idea che gli era venuta a tradimento, che lo tormentava, una ispirazione prepotente che gli sconvolgeva il cervello.
Stese il suo progetto, tracciò il disegno e poi via come un forsennato per cercare quattrini, per modellare creta ed incollare carta pesta.
Nei cortei dei carri allegorici ci sarà quest'anno anche quello dell'eterno ultimo premio. In compenso vivrà un'ora di follia e di ebbrezza travolgente tra pupazzi e maschere dalle grinte mostruose.
Sei giorni di feste.
Tre sono ormai passati. Rimangono ancora i tre giorni più belli.
C'è chi dà l'ultimo tocco ai pupi del carro, c'è chi è intento ad infiorare la sua macchina, c'è la sarta che cuce fino a tarda notte l 'abito elegante per l'ultima sera di danze, il pirotecnico prepara i fuochi, le mamme rifiniscono il costume che la piccola indosserà nel corso di gala.
Un poeta è in ansia per il concorso della canzone, un buontempone pregusta il cenone ed il bicchiere che fuga i tristi pensieri.
I giorni corrono uguali sotto il sole, le ore grigie si alternano alle giornate luminose. Per una volta nell'anno, apriamo le finestre sul mondo della fantasia e dell'irreale, alziamo quinte di colori ridenti sulla scena della nostra giornata.
Passa la folla, immemore, per un giorno, di tutto quanto affligge e rattrista.
Tante cose fatte di colore e di tela, di luce e di suono, figure impossibili, maschere che intrecciano aeree danze, fuochi d'artificio e motivi di orchestrine ...
Tante cose che dicono niente, una finestra aperta sul mondo della fantasia.
Carnevale!
Chi vuol essere lieto sia! ...
(da "Il Popolo di Sicilia", 27 Febbraio 1938)