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Santa Venera, dolcissima patrona
Splendeva sotto il bel sole estivo l'oro zecchino che patina la berlina dalle linee elegantissime, il rosso colore di fondo delle ruote altissime e del traino aveva riflessi caldi e le grandi vetrate sotto i raggi luccicavano terse e linde.
La quadriglia incedeva solenne al passo e non c'era bisogno che il cocchiere maggiore adoperasse la lunga frusta sottile che teneva diritta come impugnasse un bastone di comando. Indossava egli, palandrana di velluto verdino con ampi ricami d'oro, e d'oro erano i bottoni e le fibbie, d'oro i ricami del caratteristico cappello, corti al ginocchio i pantaloni, bianche le calze e fermate da fibbie luccicanti, e scarpine di coppale.
I due valletti stavano ritti dietro le ruote, tenendosi ai due cordoni attaccati agli angoli ed indossavano costumi uguali a quello del cocchiere maggiore che dall'alto dell'ampio cocchio ornato di ricco velluto, che recava ai lati lo stemma civico, sembrava davvero il dominatore della scena.
Il portiere del palazzo di città nella sua ricchissima divisa impugnava la mazza d'ebano dal gran pomo dorato e quasi quasi le riverenze le voleva lui invece di farle al signor sindaco quando insieme con il segretario del Comune si avviava al magnifico legno mentre uno dei valletti teneva aperto l'ampio sportello.
Il dottor Indelicato, con la sciarpa tricolore, simbolo della più alta autorità cittadina, ed il dottor Cirafici, segretario capo al Comune, avevano così la ventura di rinnovare un rito tradizionale dopo tanti e tanti anni, pur non indossando la toga e non portando spadino al fianco come era usanza nei tempi passati.
Ma la folla che si godeva lo spettacolo comprendeva benissimo il significato della rievocazione ed applaudiva festosamente dicendo così in maniera inconfondibile che suo preciso desiderio è quello di vedere ogni anno il corteo essere accresciuto di personaggi e di fasto, mettendo da parte i custodi di tanta pregevole opera e gli amministratori della pubblica cosa eventuali suscettibilità, anche giustificate, e risentimenti.
Oggi rimane l'impressione graditissima di aver visto rivivere scene di altri tempi, ed il protagonista diretto della cerimonia, il sindaco, aveva motivo di mostrarsi lieto e felice, ringraziando con larghi gesti di mano il pubblico plaudente.
Lo scenario di chiese e di palazzi, tutti del bel secolo galante, accresceva fascino alla rievocazione, ed invece di vigili e carabinieri ci sarebbero voluti alabardieri, pavonazzi nelle loro tuniche rosso cupo, algorini dalle lunghe bacchette, e poi i due mazzieri che aprissero il corteo, il gran capitano d'armi con la sua montura e con lo spadino, il giudice del mero e misto impero, il cancelliere, i giudici ideati, fantasioso vestiario policromo di sete, velluti, broccati e le due mule con i grandi timpani someggiati, i trombettieri per dar segnale, ed il batterista a cavallo.
Dove trovare scenario simile se non in questa dolce città e nella piazza stupenda, ave pare che lo stile architettonico è reso più vivo e più caldo dal volgere degli anni che ha dato patina bionda al calcare siciliano?
Applaudiva la folla a tanta bellezza, suonavano a stormo le campane, dal palazzo vescovile altro corteo ancor più fastoso usciva: il Reverendissimo Capitolo in cappa e mitra preceduto da solenne mazziere recante l'insegna d'argento cesellato; il Vescovo nel suo ricco manto con il pastorale gemmato e la mitra preziosa di pietre rare, ricami vistosissimi nei paramenti.
Santa Venera, bella e dolcissima Patrona, sembrava che tutti accogliesse con suo serafico sorriso appena accennato, Santa nostra che gli avi ed i proavi hanno amato, adorando con la nostra stessa fede, bella e dolcissima nostra Patrona che sembra ognuno di noi conoscere così come ha conosciuto quelli che ci hanno preceduto e che l 'hanno amata adorandola con identica fede.
Ceri accesi sugli altari, e luce che penetrava dalle grandi finestre istoriate, rombare dell'organo e voci del coro salmodianti, ricchissimi arredi sacri d'argento e d'oro, la cappella della Santa con la porta della nicchia, ave la statua è custodita, Santa Venera, dolcissima Patrona spalancata, il palco riservato alla civica magistratura con il grande drappo di velluto rosso, il fercolo tutto d'argento dalle linee snelle ed armoniche sul traino pesante, e la folla che assisteva commossa al sacro rito, formavano un insieme di religioso splendore che incantava e commoveva.
Il Vescovo a un certo punto scese dall'altare seguito dal suo corteo mitrato, si approssimò al palchetto sul quale la magistratura attendeva in piedi per ricevere il segno d'omaggio, levò il turibolo ed incensò.
Fuori delle grandi porte del Tempio erano rimasti i furori del secolo feroce, e sotto le navate echeggianti dei suoni dell'organo c'era una gente soltanto pia che riviveva età più liete ed anni più felici nel grido d'omaggio e d'amore per la sua Patrona.
(da: La Sicilia, 27 Luglio 1950)