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Notizie - Prove tecniche |
Saro Bella
Le Sette chiamate, il Compagno campanaro e il Re delle campane
Una volta, quando ancora le moderne tecnologie non avevano cambiato la comunicazione tra gli uomini e telegrafo, radio, telefonini, Tv, Internet, teleco-municazioni, erano nella mente del Signore e neanche il mondo era ancora un grande villaggio globalizzato, si faceva fatica a trasmettere ogni pi� piccola informazione.
I messaggi scritti viaggiavano tramite corrieri a cavallo e una notizia per giungere a destinazione aveva bisogno di tempo e spesso, quando la meta non era vicina ... di lungo tempo!
Particolarmente stridenti si facevano le difficoltà quando si doveva trasmettere velocemente e in un luogo non prossimo, una notizia urgente (di allarme, di emergenza, di chiamata a raccolta, ecc.).
Per noi, uomini moderni, avvezzi a una ridondanza d'informazioni in tempo reale, (che tuttavia paradossalmente, facciamo fatica a filtrare e organizzare) tali difficoltà sono poco comprensibili.
Lo strumento che allora permetteva una diffusione di segnali pressochè istantanea era la campana. Siamo abituati a considerare la campana come un arnese essenzialmente di uso religioso, tuttavia, anche se nacque in ambito monastico, assunse progressivamente anche importanti valenze sociali.
Ad Aquilia, come sino agli inizi del Settecento si chiamava l'attuale centro storico di Acireale, ma anche ad Aci Catena, ad Aci San Filippo, ad Aci S. Antonio, ad Aci Bonaccorsi, a Valverde e in generale in tutti i casali del territorio dove normalmente l'abitato si addensava attorno alla chiesa, il suono delle campane permeava l'intera giornata.
All'alba, i rintocchi del pater noster segnavano l'inizio del lavoro nei campi che s'interrompeva per un frugale pasto solo con lo scampanio del mezzogiorno. La giornata terminava al tramonto al suono dell'Ave Maria. I tre suoni di campane segnavano quindi la lunga giornata di lavoro che appunto si distendeva di suli in suli.
Scampanii che fissavano ore di riferimento importanti anche dal punto di vista sociale. I segnali delle campane erano, infatti, usati pure dagli amministratori cittadini (jurati) che se ne servivano, ad esempio, per regolare l'accesso alle marine:
Item si ordina et comanda da parti di ditti magnifici signori jurati di ditta terra che nixuna donna pocza lavari in li fontani undi si piglia l'acqua per biviri ne ancora digiano ditti donni andari a pigliari acqua ne a lavari li loro panni per fina intanto che non sia sonato lu paternostro et questo ad effectu di evitarsi alcun damno che porria succediri di qualche galiotta oy birgantino di turchi poychè li funtani su cussi vichino di lu mari ...
I rintocchi della campana della chiesa dell'Annunziata (l'odierno Duomo di Acireale) dovevano udirsi da lontano: tanto che gli amministratori acesi nel gennaio del 1588, essendosi rotta per il continuo uso quella esistente, proposero di comperare una campana grandi (di ben 2700 Kg) pel campanili della Mayori Ecclesia per tutti li occorrentij de la Università (città) consigli, sequela di forusciti (banditi), decoro de la Università e di Nostro Signore lddio e soi santi, quella sonando tinissi advisati tutti li chittadini.
Ed era appunto ad sonum campane che si chiama a raccolta i cittadini per intervenire ai consigli generali della città, o li si avvertiva di un imminente pericolo, o si chiamava alle armi per difendere il territorio dalle incursioni dei pirati, dei scorridori di campagna (bande di ladri), o si suonava il tocco (rintocco) per segnalare il coprifuoco e la deposizione delle armi, ecc. ecc.
Le campane evidentemente suonavano anche per le messe, per le feste, per i funerali; chiamavano i fedeli per le processioni, avvertivano delle quindicine, delle tredicine, delle novene, dei tridui, delle vigilie, degli ottavari e delle ottave. Si può dire che non vi era momento importante della vita personale o comunitaria che non si svolgesse al rintocco, ora lieto del consolato (o scampanata), ora triste del mortorio, ora di gioia della gloria. Il suono delle campane accompagnava l'uomo dalla nascita alla morte, nel dolore e nella gioia, nei momenti di preghiera, di commemorazione, di allarme, di paura, di pericolo. L'intera giornata e tutti gli avvenimenti religiosi e sociali della comunità erano scanditi dal rintocco delle campane!
Anche la chiesa antica di San Sebastiano (l'odierna chiesa di Sant'Antonino) fu munita di un campanile che ancora nel 1559 era incompleto per poi, nel 1594, su ordine dei giurati vennero dati e pagati al notaio Alessandro Scuderi gubernaturi della Confraternita di lo glorioso santo Sebastiano di questa città uncie quattro quali si chi pagano per elimosina ad effetto di fabricarsi la campana di detta ecclesia.
Nel 1606 i giurati deliberarono un nuovo stanziamento di onze tri che si li pagano per succursu d'elemosina per la nova campana che hanno fatto fare li Gubernaturi e Rettore di ditto oratorio per la necessità e bisogno che vi era in ditta ecclesia et questo stante ditta ecclesia essiri povira e non tiniri renditi nè facultà di potere fare detta campana de proprio ...
Anche quando fu edificato il nuovo tempio di San Sebastiano (l'attuale Basilica) le campane non potevano mancare e vennero man mano incrementate nel numero sino ad arrivare alle odierne cinque. La più antica risale al 1624 e porta un'iscrizione che recita Per Terremotum fratta major posi annum resurgo mense martii 1624 seguita dalla scritta San Sebastiano ora pro nobis posta sopra un'immagine del Santo. Un'altra iscrizione ci avverte che fu Refusa in Giarre da Mariano Arcidiacono fu Sebastiano il 25 giugno 1878. La seconda campana porta la dicitura Sapientia Dei Filii virtus Spiritus Sancti potentia Dei Patris S. Sebastiane ora pro nobis e un'immagine del Santo seguita da Anno Domini 1677 Christus Nobiscum state La terza campana comunemente chiamata la Campana Grande porta l'iscrizione Opus Magistri Francisci Arant Volat anno Domini 1816. Una quarta campana, contraddistinta dall'immagine della Croce e la data 1906 seguita dalle lettere F.M, attualmente custodita nel Museo della Basilica (MuBaSS), qualche anno fa venne sostituita da una nuova campana commissionata da don Carlo Chiarenza. Un'altra campana, la quinta, venne aggiunta alle altre dall'allora decano, don Giuseppe Sciacca.
Per governare tutte queste campane e farle suonare insieme in modo accordato e melodioso era necessario poter contare su valenti campanari. Spesso, almeno nelle occasioni normali, era lo stesso sarristano che assolveva il compito di suonarle servendosi di funi che dal campanile scendevano all'interno della chiesa. Nelle ricorrenze particolari e nelle feste grandi intervenivano, invece, anche altre persone, talvolta esponenti delle confraternite, che in gruppo di tre o quattro salivano in cima al campanile per muovere direttamente i pesanti battagghi delle campane e da queste trarre i possenti rintocchi che già alle prime luci dell'alba, spargendosi per l'intera città, comunicavano a tutti la gioia della festa. Campanari che apprendevano l'arte dai più anziani e che a loro volta la tramandavano di generazione in generazione più per pratica che per codifica, lasciandoci in tal modo, purtroppo, pochi riferimenti scritti. Durante tutto l'anno, le ricorrenze festive si susseguivano con regolare e incessante sequenza. Era, tuttavia la festa dedicata al Santo, l'occasione nella quale i sacri bronzi della chiesa venivano messi a dura prova. In quest'occasione, infatti, lavoravano incessantemente anche di notte. Come sappiamo la chiesa di San Sebastiano era stata costruita per volontà delle confraternite che al suo interno trovavano sede per le funzioni religiose ma anche sepoltura per i propri adepti.
Le confraternite di San Sebastiano, come la tradizione ci indica, erano sette: Santa Maria degli Angeli, Santa Maria della Pace, Santissimo Crocifisso, Santa Maria la lettera, Santissimo Ecce Homo, San Gaetano, e Maria Santissima Addolorata. Un'antica consuetudine stabiliva che a turno, per tutta la notte precedente il giorno della festa, queste confraternite si alternassero per vegliare in preghiera il Santo. Per la loro chiamata si usavano rintocchi di campana diversi per ogni confraternita. La notte della vigilia, le sette chiamate, una dopo l'altra, avvisavano così i fratelli delle diverse confraternite che era giunto il loro turno di veglia e preghiera. Il rintocco delle campane segnava l'avvicendamento delle confraternite lungo tutto il lento incedere della notte per poi, all'alba, esplodere in continui e assordanti rintocchi che riempivano l'intero giorno di festa.
Quando l'orologio si diffuse, la necessità dei rintocchi notturni di chiamata si affievola e per cio le campane, almeno di notte, si fermarono. Tuttavia, la tradizione continua e le sette chiamate, suonate tutte insieme la tarda serata della vigilia, divennero una consuetudine che ancora oggi si conserva nonostante che la veglia notturna non sia più praticata.
***
La sera del 19 gennaio una curiosa combriccola si riunisce. Come congiurati di un'antica setta, confabulano tra loro scambiandosi sguardi d'intesa. Attorno a loro, tanti altri fedeli seguono attentamente i loro movimenti con sguardi permeati di ammirazione ma anche d'invidia. Tutti vorrebbero seguirli! Tutti vorrebbero essere con loro! Solo l'imperioso sguardo del loro capo, un possente omone di poche parole, li ferma e li tiene a bada. A un cenno la combriccola si muove lestamente e aperta velocemente con una vecchia, grossa chiave, la minuscola porticina si proietta all'interno di un oscuro cunicolo. La porta dietro di loro accuratamente chiusa lascia bruscamente fuori alcuni degli astanti che con più coraggio degli altri avevano tentato vanamente di seguirli. Le mandate della vecchia fermatura risuonano spettrali all'interno dell'angusto budello di pietra. In fila, uno dietro
l'altro, pigiati negli angusti spazi della ripida scala di pietra nera a stento rischiarata dalla fioca luce di lampadine coperte da uno spesso strato di polvere, il gruppo, districandosi tra gli spigoli sporgenti della pietra lavica, s'inerpica gradino dopo gradino verso la sommità del campanile.
Il capo, chiamato anche "il compagno campanaro" per via della sua militanza politica che comunque, come novello "Peppone" di vecchi romanzi di Guareschi, non gli impedisce di presentarsi puntualmente ogni anno all'appuntamento, sale le ripide scale, nonostante la mole e gli anni, con inaspettata agilità. Dietro di lui un panciuto personaggio detto "il re delle campane" ansimando, fatica a seguirlo sopportando con un sorriso gli sfottò di stimolo che, lungo tutta l'ascesa, un giovane di bell'aspetto e dall'elegante pizzetto non gli risparmia. Dopo... seguono due ragazzi che non riescono a nascondere l'effervescente euforia per essere stati scelti: la loro esuberante vitalità a stento contenuta, sembra spingere il gruppo verso l'alto.
Appena giunti in cima, l'elegante loggetta barocca li contiene a stento mentre la pungente brezza serotina penetra senza ostacolo la trifora, rinfrancandoli. Le tre aperture inquadrano un panorama mozzafiato. La città rischiarata da mille e mille luci, si stende ai loro piedi. Le strade, segnate dalle luci bianche e rosse delle auto, si distinguono nitidamente anche a distanza. Le antiche chiese con i loro alti campanili illuminate, emergono prepotentemente dall'abitato. Lontano, la muntagna, bianca di neve, sembra anch'essa in trepida attesa.
Velocemente il gruppo si dispone sotto le campane che ancora immobili pendono dalla sommità della loggetta. Il compagno campanaro è al centro della scena, sopra di lui, enorme, si apre la campana grande, afferrata con la mano destra la corda del grande battaglio, si spinge più in la per stringere, con la sinistra, la corda della campana mezzana; gli altri, in un angolo, governano le campane più piccole. Il compagno campanaro con le braccia protese in posa ieratica, saggia la consistenza delle funi e l'oscillazione dei battagli, per poi immobilizzarsi in plastico raccoglimento.
La calma dura per qualche minuto, poi, lentamente, iniziano i possenti rintocchi della grande campana subito seguiti dalla mezzana e poi da tutte le altre in una sequenza misteriosa che solo il capo sa dirigere. Sotto i suoi cenni, le campane, sapientemente mosse dal gruppo, si animano componendo articolate melodie. Il frastuono terribile, riempie la loggetta ma non riesce a intaccare la concentrazione dei campanari che, tocco dopo tocco, svolgono al cielo le loro melodiche armonie.
Sotto, nella piazzetta gremita, una folla di fedeli con la testa in alto e la bocca aperta guardano la loggetta che sembra sobbalzare a ogni salva di rintocchi.
I divoti, avvolti dai rintocchi, ora grevi, ora squillanti, ora melodiosi, ora lenti, ora frenetici, ora travolgenti, presi dal suono e dall'atmosfera prefestiva vedono materializzarsi tra le ombre dei vicoli scuri, eteree figure d'infagottati confrati che lesti si affrettano verso la loro chiesa, verso il loro Santo.
Grazie a campane e novelli campanari anno dopo anno si rinnova l'antica tradizione delle sette chiamate oggi indirizzate a tutti i divoti che trepidanti aspettano la fatidica giornata della "loro" festa.
Sono loro, Luigi Safiotti "il compagno campanaro", Saro Re, "il re delle campane", Saro Fichera "l'elegante pizzetto", Salvatore Reitano, i ragazzi che spinti dalla voglia d'imparare li seguono, i nuovi campanari: i campanari del Terzo Millennio. Sono loro che con passione e disinteresse conservano e perpetuano la secolare tradizione delle sette chiamate.
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